Nel 1857, l’Inghilterra della Regina Vittoria rischiò di perdere l’Impero Indiano.
Nell’intero Subcontinente esplose una rivolta, non già animata dal “Marajà”, abbondantemente compensati dal Viceré per la loro obbedienza al dominio straniero, bensì dalle truppe locali.
Questo episodio passò infatti alla storia come la “Mutiny”, cioè l’ammutinamento dei soldati e dei sottufficiali delle truppe locali: gli ufficiali provenivano naturalmente dalla Gran Bretagna.
Una leggenda, ancora in circolazione, alimentata dai cultori dei rapporti tra l’India e l’Italia, dice che i marinai di una nave genovese, ancorata nel porto di Bombay, avessero distribuito agli indigeni degli opuscoli di propaganda mazziniana.
Ammesso che ciò fosse vero, quanti indiani erano in grado di leggere la nostra lingua?
In realtà, chi voleva sottrarre l’India alla Corona di Londra (è probabile che ci fosse lo zampino della Russia, che all’epoca contendeva ai britannici l’Afghanistan) fece piuttosto leva sul sentimento religioso: ai militari induisti fu detto che la carne in scatola delle razioni era bovina, mentre a quelli musulmani fu detto che era suina.
Il colonialismo, non disponendo le potenze europee di sufficienti soldati e funzionari per controllare i sudditi di Oltremare, doveva reclutare dei subalterni locali: per quanto poco fossero pagati, bisognava pur sempre dare loro qualcosa.
Quando le spese superarono le entrate, iniziò inevitabilmente la decolonizzazione.
Consideriamo l’analoga divisione in due dell’Italia, tra il Settentrione che ha sottomesso il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio, ed il Meridione, costretto ad arrangiarsi con gli stipendi pubblici, le pensioni di “invalidità”, i traffici illegali delle mafie ed ora il reddito di cittadinanza.
I “Pentastellati”, guidati dal pugliese Conte, minacciano di mettere in crisi il Governo se si toccano le prebende da loro istituite, quali il “superbonus” e – per l’appunto – questo sussidio.
Le trattative per la loro permanenza nell’Esecutivo sono in realtà continue, e ne viene data notizia soltanto quando si minaccia la rottura.
Oggi sapremo se la mancia offerta da Draghi a Conte sarà ritenuta sufficiente per dare al Governo una boccata di ossigeno, oppure se tra i due verrà consumato un clamoroso divorzio.
L’Avvocato di San Giovanni Rotondo non dimentica certamente il compaesano di adozione Padre Pio: il quale – in cambio delle sue assoluzioni e dei suoi miracoli – percepiva sostanziose offerte da parte dei fedeli.
Draghi è invece un cattolico liberale, educato prima dai Gesuiti, poi da uno spirito laico quale Federico Caffè (esponente del Partito d’Azione) ed infine dagli economisti anglosassoni.
L’uomo dovrà dunque ispirarsi alle sue radici romanesche (la plebe dell’Urbe è stata formata nell’eredità dello Stato Pontificio) per venire a capo della difficile trattativa cui si accinge.
L’improvviso innalzamento del prezzo – non spiegabile in base alle leggi economiche ben note ad un banchiere del livello del Presidente del Consiglio - è dovuto evidentemente al fatto che Di Maio si è fatto pagare direttamente: quanto gli passava il suo capo, ad un certo punto, non è più risultato soddisfacente.
Conte, però, esige ora almeno altrettanto, ed il mercato delle vacche continua.
Abbiamo già detto di come gli Occidentali abbiano rispedito in fretta e furia “Supermario” da Madrid a Roma: se c’è da pagare per mantenere l’Italia in Occidente durante la guerra in Ucraina – devono avergli detto – paga senza discutere.
Purché, naturalmente, ci siano abbastanza soldi.
Questo lo sapremo in serata.
La Raggi, nei giorni intercorsi tra il primo ed il secondo turno, ha assunto per chiamata diretta presso l’Ufficio Stampa del Comune – già pletorico – ben quarantanove suoi adepti, che erano già in servizio presso il Campidoglio, ma con mansioni e qualifiche inferiori.
Un Sindaco con un minimo di rispetto verso sé stesso, appena insediato, avrebbe annullato questa delibera in sede di revisione, o quanto meno avrebbe fatto chiedere dai suoi Consiglieri una valutazione di legittimità presso il Comitato Regionale di Controllo.
Occorreva però pagare il predecessore, non già – si badi - per avere appoggiato Gualtieri in occasione del ballottaggio: la Raggi ha fatto votare Michetti, con cui l’accomunano le radici neofasciste, l’una essendo allieva di Previti, e l’altro amico della sorella della Meloni.
Semplicemente, Gualtieri si considerava in debito soltanto perché l’anteriore Sindaco non aveva fatto attivamente campagna contro di lui.
Ora la Raggi, con tutto il suo Partito, si oppone al termovalorizzatore di Roma.
Se non verrà costruito, i Quiriti continueranno a mandarci la loro spazzatura.
Siamo abituati a ricevere i rifiuti dell’Urbe, che ha inviato dalle nostre parti perfino Mario Benotti.
I mafiosi che si fanno pagare il pizzo non danno nulla in cambio: semplicemente, si astengono dal bruciare il negozio.
Draghi dovrà dunque pagare per rimanere Presidente del Consiglio.
Certamente, proporrà ai “Pentastellati” alcuni seggi sicuri nelle liste del Partito Democratico.
Qualcosa di analogo avvenne con i Radicali, che in cambio del loro zero virgola per cento ottennero a suo tempo ben cinque deputati.
Più recentemente, la Boschi venne inflitta come candidata ai malcapitati tedeschi del Tirolo Meridionale: in cambio, visitò il Carnevale di Ora – o Auer - anziché quello di Viareggio.
Formuliamo a Draghi i nostri migliori auguri, ma ci domandiamo fino a quando potrà estrarre dei conigli dal suo cilindro.
L’austero Dini fece lo stesso con una deputata di Rifondazione Comunista, tale Marida Bolognesi: la quale votò la fiducia, causando le ire di Cossutta.
Tra i due uomini, è difficile stabilire chi fosse il più brutto.
Draghi non può baciare Conte, anche a causa delle dicerie sulle tendenze sessuali dell’Avvocato del Popolo: il quale comunque esige compensazioni ben più sostanziali.
Sono passati i tempi in cui i colonialisti pagavano i “selvaggi” con gli specchietti e le collanine.

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Mario Castellano  14/7/2022
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