Uno dei più alti dirigenti di “Grande Liguria” ...
Uno dei più alti dirigenti di “Grande Liguria”, l’unica forza autonomista della nostra Regione, che alle ultime Regionali – pur senza svolgere alcuna campagna elettorale – ha ottenuto un risultato non certo trascurabile, trovandosi in vacanza nel Tirolo Meridionale, ha bussato alla porta del locale Partito di lingua tedesca.
I dirigenti hanno rifiutato di riceverlo, e neanche lo hanno fatto ascoltare da qualche funzionario di basso rango.
Non scriviamo queste poche righe per deplorare la scarsa educazione dimostrata da costoro in tale circostanza: scambiare delle valutazioni sulla situazione, specie in un momento delicato e difficile come l’attuale, non significa necessariamente trovarsi d’accordo, né tanto meno stipulare alcun patto.
Un simile atteggiamento si giustificherebbe se il nostro rappresentante fosse anche soltanto sospetto di tendere a qualche forma di criminalità politica.
Il che è completamente escluso: “Grande Liguria” agisce soltanto nel più stretto ambito legalitario, e non si qualifica neanche come una forza indipendentista: nel qual caso, i mezzi sarebbero legali, ma i fini si qualificherebbero come eversivi.
L’obiettivo che ci si propone consiste soltanto in un ampliamento sostanziale dell’autonomia regionale: dati i tempi, ci si accontenta però di difenderla così come è attualmente.
Gli amici del Tirolo Meridionale ci consentano di fare un poco di storia.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando la popolazione di lingua tedesca si era distinta per lo zelo con cui aveva disarmato i soldati italiani dopo l’Otto Settembre, consegnando i nostri militari all’invasore nazista e consegnando sé stessa ad una provvisoria annessione unilaterale al “Terzo Reich”, si erano sedimentati tra le genti di quella zona di confine nuovi motivi di reciproca diffidenza.
Vale naturalmente per i Tirolesi Meridionali quanto sempre abbiamo asserito a proposito di altri popoli che aspiravano – o aspirano tuttora – all’autodeterminazione: non li si deve criticare se si affidano a chi offre l’occasione per realizzare i loro obiettivi.
Come i Fiamminghi ed i Croati, entrambi perseguitati e demonizzati dopo la guerra per il loro “collaborazionismo”, vale la considerazione che non volevano l’autodeterminazione perché erano nazisti, ma erano nazisti perché volevano l’autodeterminazione.
L’Italia, d’altronde, si era presentata ai Tirolesi Meridionali con il volto del Fascismo, che praticava l’assimilazione forzata.
Dopo il “Patto d’Acciaio”, venne prospettata per loro l’emigrazione nel “Reich”: il che diede origine al curioso fenomeno dei “partenti”.
I quali avevano intascato l’indennizzo pattuito tra Roma e Berlino per i beni che si accingevano a lasciare, ma non partirono mai: tutto il mondo è paese!
Sylvius Magnago è da annoverare – insieme con Jordi Pujol – tra i grandi Europei del secolo scorso.
Ambedue venivano dall’indipendentismo: il tirolese meridionale si era arruolato volontario nell’Esercito Tedesco, aveva combattuto in Russia e vi aveva perso una gamba; il catalano aveva scontato lunghi anni di prigione per un gesto non violento, avendo fatto eseguire dal coro dell’Opera di Barcellona, in presenza di Franco, l’inno nazionale del suo Paese.
Entrambi però si erano però convinti, al prezzo di una dolorosa esperienza personale, della verità che sempre Magnago ripeteva saggiamente ai suoi: “L’Europa non cambia i suoi confini per noi”.
Per questo, il vecchio slogan “Loss von Rom” fu modificato in quello – ben più realistico – di “Loss von Trent”: l’unica rivendicazione possibile consisteva – nel Tirolo Meridionale come in Catalogna - in quelle misure giuridiche che avrebbero impedito l’assimilazione e consentito il mantenimento dell’identità culturale.
Dopo gli Svedesi delle Isole Aaland, i Tirolesi Meridionali sono considerato dal Consiglio d’Europa la minoranza trattata meglio nel Continente.
Merito loro, ma merito anche della democrazia italiana.
Ora, però, il comportamento scortese tenuto nei confronti del nostro rappresentante induce a pensare che i Tirolesi Meridionali siano divenuti indifferenti rispetto alle vicende dell’Italia, e soprattutto della sua malandata democrazia.
Al punto che si intende mandare a Roma un messaggio ben preciso: voi non dateci fastidio, e noi non diamo fastidio a voi.
Il che significa più o meno: noi evitiamo di alimentare i regionalismi italiani, e voi non toccate il nostro.
Un tedesco oppositore di Hitler raccontò la famosa storia: “Quando i nazisti hanno perseguitato gli Zingari, non mi sono preoccupato; quando i nazisti hanno perseguitato gli Ebrei, non mi sono preoccupato; quando i nazisti hanno perseguitato i Socialisti, non mi sono preoccupato; quando i nazisti hanno perseguitato me, non c’era più nessuno che si preoccupasse”.
I dirigenti di Bolzano dovrebbero ricordare che perfino Renzi aveva proposto, nella sua riforma costituzionale (fortunatamente abortita), un taglio lineare alle autonomie regionali: anche la loro, pur tutelata da ben due atti di Diritto Internazionale, cioè l’Accordo De Gasperi – Gruber ed il cosiddetto “Pacchetto”.
Se fossimo al loro posto, non ci sentiremmo tanto sicuri davanti alle affermazioni della Meloni, che in Spagna sostiene chi intende abolire gli Statuti di Autonomia della Catalogna e del Paese Basco, al prezzo di scatenare un’altra guerra civile.
Nel nostro caso, i dirigenti di Bolzano credono di potervi assistere dall’alto delle Dolomiti, come Mao Tse Tung, il quale diceva che bisognava “guardare da una rupe il combattimento tra due tigri”.
Abbiamo l’impressione che gli amici di Bolzano si stiano sbagliando.
Soprattutto perché l’Europa non si limita a lasciare intatti i confini, ma si disinteressa di quanto avviene al di là di essi.
Il nostro – purtroppo per loro – arriva ancora al Brennero.

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Mario Castellano  3/8/2022
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