L’Italia ricorda il centenario della “Marcia su Roma”, quando all’arrivo nell’ Urbe degli squadristi fece seguito quello di Mussolini, proveniente da Milano in vagone letto.

L’Italia ricorda il centenario della “Marcia su Roma”, quando all’arrivo nell’ Urbe degli squadristi fece seguito quello di Mussolini, proveniente da Milano in vagone letto.
I fascisti non avevano ottenuto nessun seggio alla Camera in occasione delle elezioni del 1919, e due anni dopo si erano fermati ad un modesto quindici per cento.
Tanto bastò tuttavia al “Duce” per farsi conferire un potere destinato a trasformarsi in breve tempo in assoluto.
La ragione di questo esito risale alla incapacità dimostrata dai Socialisti e dai Popolari di accordarsi per governare insieme, mentre la Destra decideva da parte sua di sottomettersi a Mussolini.
Soltanto alcuni liberali – come Giovanni Amendola – si accorsero del pericolo derivante da questa scelta.
Bastava tuttavia leggere il programma originale del Fascismo, detto “di San Sepolcro”: epurato dalle rivendicazioni demagogiche della Repubblica, della socializzazione dei mezzi di produzione e dell’anticlericalismo, questo documento manifestava la vocazione dichiaratamente autoritaria del movimento che lo aveva partorito, che si proponeva la distruzione dello Stato liberale.
Non veniva invece postulata nessuna discontinuità nella politica estera.
Il Mussolini del 1919, come quello del 1922, non si proponeva di distaccare il nostro Paese (che non a caso definì, incontrando il Re, “l’Italia di Vittorio Veneto”,) dall’Intesa con la Francia e con l’Inghilterra.
Quali sono le analogie tra il 1922 ed il momento attuale?
Anche ora si assiste ad una convergenza – o meglio ad una confluenza – della Destra “moderata” con quella estrema.
Che la Meloni sia da considerare o meno una erede del fascismo è questione di lana caprina.
Quanto conta è la sua vocazione autoritaria, manifestata apertamente in Spagna con l’avversione irriducibile nei confronti delle autonomie locali.
Questo è l’elemento comune decisivo con il Mussolini della “Marcia su Roma”.
Tutto il resto, cioè la demagogia ed il populismo esibiti da entrambi, costituiscono soltanto un espediente propagandistico, una cortina di fumo.
L’altro elemento comune sta nel fatto che entrambi sono ben lontani dal disporre di una maggioranza assoluta: per cui i voti ed i seggi necessari a governare vengono forniti – allora come oggi – dai Partiti alleati.
Rispetto ai quali Mussolini aveva il vantaggio di sapere che cosa voleva.
Questo vantaggio – anche qui la Storia si ripete – ce l’ha anche la Meloni.
La quale sa quali trasformazioni introdurre nello Stato, mentre Salvini e Berlusconi – come i liberali del 1922 – si accontentano soltanto di qualche prebenda.
I vari Letta, Renzi e Calenda, dal canto loro, stentano ad accordarsi, a causa dei loro veti reciproci, esattamente come i Socialisti ed i Popolari di cento anni fa.
Per evitare la sconfitta, è però indispensabile una alleanza tra tutti coloro che hanno sostenuto Draghi, e che poi non lo hanno tradito.
Rispetto al 1922, quando il “tutto e subito” dei Socialisti non coincideva con il “tutto e subito” dei Popolari, oggi esiste almeno un programma comune.
Per non parlare della necessità di mantenere l’Italia nell’Occidente, che induce personaggi come Brunetta, la Gelmini, la Carfagna, Giuliano Ferrara e perfino la pittoresca Pascale a rompere con Berlusconi.
La Meloni intende portare l’Italia verso una deriva “terzomondista” non già in quanto abbia intenzione di rovesciare le nostre alleanze internazionali, ma a causa dello stesso carattere autoritario del suo governo.
Letta non ha nessun titolo – a nostro modesto avviso – per discriminare tra i possibili alleati, tanto più in considerazione del suo contubernio con Conte, che a Roma è finito solo da pochi giorni, mentre prosegue felicemente a Palermo.
Da come si compongono le alleanze elettorali dipende il futuro dell’Italia.
Non tutti – a differenza della Pascale - hanno abbastanza soldi per trasferirsi all’estero.
Il rigore giacobino esibito da Letta non si concilia inoltre con quanto succede dalle nostre parti, dove certi esponenti del suo Partito hanno ottenuto degli incarichi di sottogoverno dal “Sindaco – Presidente”.
Il quale – a quanto si dice – si appresta a candidarsi al Parlamento per la Destra, verosimilmente contando anche sull’appoggio di questi mediocri personaggi.
I quali presentavano il “Bassotto” come “di Sinistra”, tanto che erano pronti a sostenerlo in occasione delle ultime Amministrative.
A Letta rivolgiamo comunque i seguenti quesiti:
I) Il Partito Democratico ha autorizzato alcuni suoi esponenti di Imperia a collaborare con l’attuale Amministrazione Comunale e Provinciale?
II) In caso affermativo, in base a quale accordo ed a quale programma?
III) Gli organi dirigenti del Partito lo hanno autorizzato, o quanto meno lo hanno ratificato e portato a conoscenza degli iscritti e dell’opinione pubblica?
IV) I responsabili regionali e nazionali ne sono stati messi al corrente?
V) Qualora la risposta agli anteriori quesiti risultasse negativa, per quale ragione non è stato promosso un procedimento disciplinare nei riguardi dei responsabili?
VI) Si è almeno deferito ai Probiviri il “compagno” di Prato che ha aderito a “Fratelli d’Italia”?
VII) Letta ritiene che anche questo dirigente sia munito di “occhi di tigre”?
“La Repubblica” potrebbe pubblicare una sua fotografia, permettendo così ai lettori di valutare il suo sguardo.
Oltre che, naturalmente, di usare il ritratto del voltagabbana come sputacchiera.

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Mario Castellano  6/8/2022
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