La violenza verbale annunzia purtroppo molto spesso quella fisica: si comincia con gli insulti, e poi si viene alle mani...
La violenza verbale annunzia purtroppo molto spesso quella fisica: si comincia con gli insulti, e poi si viene alle mani.
Conte minaccia – per l’appunto fisicamente – Renzi, il quale nel caso specifico ha pienamente ragione ad invocare l’intervento del Ministero dell’Interno: tale organo dello Stato – in quanto responsabile dell’organizzazione delle elezioni – deve infatti impedire o reprimere ogni comportamento da cui derivi una turbativa alla libera espressione della volontà popolare.
La Meloni invoca anch’essa un intervento del Viminale, ma lo fa insinuando che la contestazione dei suoi comizi costituisce una coartazione della libertà di espressione.
Che cosa è successo in concreto?
Alcuni gruppi di persone hanno tentato di avvicinarsi alle piazze in cui la candidata teneva le sue concioni, ma non risulta che costoro abbiano compiuto atti costituenti reato, come per esempio tirare delle pietre: nel qual caso, la Polizia avrebbe certamente avuto l’obbligo di intervenire per reprimere tali comportamenti, identificando e denunziando i responsabili alla Magistratura Inquirente.
Avvicinarsi ad un comizio inalberando dei cartelli - o comunque recando simboli che rappresentano una diversa appartenenza politica - non costituisce viceversa reato.
Male ha fatto dunque la Guardia di Finanza (che non può comunque svolgere funzioni di tutela dell’Ordine Pubblico) ad aggredire alcuni indipendentisti sardi, i quali si erano limitati a presenziare – senza peraltro disturbarlo – ad un comizio della Destra.
La Meloni, presentandosi come vittima di una asserita intolleranza della parte avversa, si propone due scopi: se perde le elezioni, gridare al broglio, determinato non già da una falsificazione delle schede, bensì dalla impossibilità di spiegare agli elettori la sua proposta; se vince, introdurre – magari ricorrendo ad un Decreto del Presidente del Consiglio – delle norme limitativa dei diritti civili.
Non ha forse detto questa Signora, parlando a Barcellona, che considera criminale in sé – a prescindere dai mezzi con cui lo si esprime – il dissenso politico?
Ciò detto, l’onestà intellettuale impone di annotare come gli ultimi tre Governi abbiano predisposto – e poi impiegato – una nuova fonte del Diritto, e cioè precisamente il Decreto del Presidente del Consiglio, che non è indicato come tale dalla Costituzione.
Il che configura, in termini giuridici, un colpo di Stato, cioè una modifica della Legge Suprema introdotta senza rispettare il procedimento che essa stessa stabilisce a tal fine.
L’Ungheria è stata definita dal Parlamento Europeo come un regime non democratico in quanto gli atti legislativi vengono sottratti al controllo di legittimità da parte della Corte Costituzionale.
Questo, però, è precisamente quanto ha stabilito il Decreto Legge emanato dal Governo Draghi il Nove Settembre a proposito precisamente dei Decreti del Presidente del Consiglio: il quale può dunque legiferare in difformità dalla Costituzione, mentre le Camere non possono farlo.
Il Tribunale di Milano sta decidendo se le elezioni debbano essere rinviate, in quanto la lista di Cappato sarebbe stata esclusa avendo raccolto le firme dei presentatori con il procedimento elettronico detto “speed”.
Tale procedimento è però espressamente ammesso quando si raccolgono le firme a sostegno di una richiesta di referendum abrogativo, o di un Disegno di Legge di iniziativa popolare.
Questa norma, secondo i ricorrenti, dovrebbe essere applicata per analogia alla presentazione delle liste elettorali.
Tanto più che la normativa europea equipara a tutti gli effetti le firme raccolte con il procedimento “speed” con quelle certificate da un Pubblico Ufficiale mediante l’identificazione di chi le appone.
Se le elezioni dovessero essere rinviate, la Meloni griderebbe naturalmente al colpo di Stato.
Al di là però della sua congenita demagogia, si assiste ad un fenomeno che sempre contraddistingue lo scoppio delle guerre civili, o l’instaurazione delle dittature: le quali comunque si contraddistinguono in quanto combattono contro il popolo, impedendogli di esprimersi liberamente.
Quanto viene meno è la capacità di convivere nell’ambito di un sistema di regole comunemente accettate, per cui l’una parte tende inevitabilmente a sopraffare l’altra.
Su questo influisce certamente l’atteggiamento che contraddistingue – a partire dal 1945 – un settore della Destra: quello che considerava legittimo il regime fascista, e dunque illegittimo quello che lo ha sostituito.
Che dunque deve essere abbattuto, se necessario con la forza, anche se non al fine di ricostituire il fascismo nelle sue forme storiche.
Noi ci limitiamo a notare che questo atteggiamento costituisce una conseguenza – lontana, ma diretta – del modo in cui si è costituito lo Stato unitario, la cui instaurazione avvenne precisamente in contraddizione con la volontà popolare.
Le sue ricorrenti crisi, coincidenti non a caso con le guerre in cui l’Italia si era impegnata – cioè Caporetto e l’Otto Settembre – non ne causarono la fine in quanto dei soggetti esterni – in ambedue i casi la Chiesa ed i nostri alleati occidentali – intervennero per puntellarlo.
Oggi entra in crisi l’Italia post fascista, e lo Stato unitario sopravviverà soltanto se questi soggetti vorranno ancora sostenerlo.

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Mario Castellano  22/9/2022
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