LETTERA APERTA A UN AMICO “DEMOCRATICO” ...
Nei giorni scorsi, mi hai fermato per strada per chiedere il mio voto.
Non avevo tempo per risponderti con il necessario approfondimento, per cui lo faccio ora.
In primo luogo, ti ringrazio per la considerazione che hai dimostrato nei riguardi della mia modesta persona.
Devo però purtroppo rilevare come altri tuoi compagni di partito non dimostrino lo stesso atteggiamento: un vostro alto dirigente, ora deceduto, mi ha insultato pubblicamente, definendomi un “millantatore”.
Non è mio costume mettermi sullo stesso piano di chi si esprime offendendo il prossimo sul piano personale.
Mi limito a ricordare come questo Signore, essendo stato inviato da un Ente Pubblico a rappresentarlo nel mio Paese di adozione, si sia distinto per avere mancato gravemente di rispetto a mia moglie.
La decenza suggerirebbe dunque che prima si presentassero le scuse, e poi si chiedesse il voto.
Alcuni di voi mi considerano in ogni caso un traditore perché – come ho pubblicamente dichiarato ed argomentato – non vi ho attribuito il mio suffragio, e non intendo attribuirvelo il Venticinque Settembre.
Che cosa significa, però, essere un traditore?
Ti dico con tutta franchezza che i traditori siete voi.
Lo dimostra il fatto che non avete fatto campagna elettorale, così violando il diritto degli elettori di conoscere il vostro programma.
In realtà, se anche lo avete, quanto vi manca è l’adesione alle vostre stesse ragioni.
Per capire questa situazione, occorre risalire alla distinzione tomistica tra il fatto e l’evento.
Il fatto si produsse in Italia tra due date: il 1968 ed il 1976.
Nel 1968, per la prima volta nella nostra storia unitaria, una generazione di giovani si volse verso il progressismo.
Prima, si erano sempre orientati nel senso opposto.
La dirigenza del tuo Partito li trattò “a prescindere” come dei delinquenti, perché disturbavano il suo progetto, consistente nell’attendere la propria cooptazione nel sistema di potere della Democrazia Cristiana.
Questo, però, non venne capito dai cittadini, i quali diedero nel 1976 a Berlinguer in voti necessari per costruire una alternativa socialdemocratica, quale esisteva già in tutti i Paesi dell’Europa Occidentale: compresi quelli appena usciti dalle dittature di Destra.
Il Marchese rifiutò questa prospettiva, e si mise al seguito non già di chi aveva vinto, bensì di chi aveva perso.
L’evento fu dunque il lancio del cosiddetto “Compromesso Storico”.
Un compagno venne trattato anch’egli da traditore essendosi permesso di obiettare che non è certo un complimento dire che una donna è compromessa.
Capii comunque in quel momento, per quanto fossi giovane ed ingenuo, che certi dirigenti della nostra Città, i quali intrattenevano da circa un decennio dei torbidi rapporti d’affari con una corrente della Democrazia Cristiana, avrebbero approfittato della situazione non soltanto per rafforzare questo “pactum sceleris”, ma addirittura per presentarsi come i migliori realizzatori degli indirizzi nazionali.
Se per ipotesi il furto venisse depenalizzato, i ladri diverrebbero per ciò stesso dei cittadini esemplari.
Da quel momento in avanti, i dirigenti locali del tuo Partito vennero scelti in base alla loro adesione alla linea tracciata dalla Federazione: il che spiega le loro fulminanti carriere.
Cominciò così un “descensus Averni” che condusse al suicidio dell’opposizione: il miglior militante era infatti colui che – una volta eletto ad una carica pubblica – non la praticava.
Quanto meno, infatti, la si esprimeva, tanto maggiore era il beneficio che ne ricavava il gruppo dirigente.
Pazienza se questo avesse almeno beneficiato il Partito, inteso come organizzazione: a guadagnarci erano invece soltanto delle singole persone; ed anzi più costoro crescevano nella gerarchia, più il Partito si indeboliva.
Se si arriva alla conclusione che si è tanto migliori quanto meno si dà fastidio, la scelta ideale consiste nel suicidio.
Il tuo Partito, infatti, è morto suicida: per evitare il rischio non dico di vincere, ma di ottenere un minimo risultato, non fa campagna elettorale.
Il miglior favore che posso fargli consiste dunque nel non dargli il voto.
Se sei arrivato alla mia stessa conclusione, non dovresti darglielo neanche tu.
La prossima volta, invece di candidarti, ti consiglio dunque di andare a pescare.
O – meglio ancora – di andare a Belgrado.
Dove le scelte compiute dai tuoi dirigenti hanno recato i benefici più consistenti e duraturi.
Cordiali saluti.
Mario Castellano

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Mario Castellano  23/9/2022
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