La Chiesa italiana è tentata – nelle sue massime gerarchie – di stipulare con la Meloni un accordo simile a quello intercorso con Mussolini.
Per capire l’analogia tra le due situazioni storiche, non ci si deve rifare tanto ai Patti Lateranensi, bensì all’atteggiamento tenuto da una parte del clero nei riguardi del fascismo nella fase precedente la “Marcia su Roma”.
È vero che la violenza degli squadristi colpì anche le Leghe dette “bianche”, i militanti del Partito Popolare e in qualche caso i Sacerdoti più impegnati nell’assecondare queste espressioni sociali e politiche: Don Minzoni venne addirittura ucciso.
È però anche vero che in molti casi altri preti benedissero i gagliardetti: lo fece anche il Cardinale Ratti, futuro Papa Pio XI, ricevendo solennemente nel Duomo i fascisti di Milano.
Mussolini, giunto al potere, poteva scegliere tra due atteggiamenti opposti: proseguire nell’avversione – già propria dello Stato Liberale, e poi ripresa ed accentuata dai Socialisti - nei confronti della Chiesa, assimilandola alla corrente cattolica antifascista; oppure premiare quel settore che aveva visto nel suo partito – e soprattutto nel nuovo regime – il soggetto in grado di reprimere tutti gli atteggiamenti anticlericali.
Il “Duce”, con innegabile intuito, scelse la seconda opzione, e non esitò a rovesciare la connotazione dello Stato, trasformandolo da laico in confessionale, pur di fare della Chiesa una organizzazione di massa tra le molte costituite a suo sostegno.
La Chiesa poteva però contare in quell’epoca su di una base di massa, espressa da un Paese ancora essenzialmente rurale.
Oggi, nella società “secolarizzata”, questo seguito non c’è più.
Se dunque il Cardinale Gasparri – patteggiando con Mussolini – sapeva di contare su di un rapporto di forze certamente favorevole alla controparte, ma non disastrosamente sbilanciato a scapito della Santa Sede, che cosa possono mettere sul piatto oggi i prelati del Vaticano intenti a negoziare con la Meloni?
Per rispondere a questa domanda, possiamo partire da due premesse: in primo luogo, la pescivendola – come il Mussolini dei primi Anni Venti – è persona contraddistinta da un indubbio intuito politico, e questo la porta a formulare delle offerte generose.
Cesserà dunque l’introduzione di leggi contrarie ai cosiddetti “Valori non negoziabili”.
Con il duplice vantaggio di guadagnare simpatie oltre Tevere e di togliere ai “Democratici” la loro ultima caratterizzazione: il “Partito dei Lavoratori” si era venuto trasformando nel “Partito degli Omosessuali”.
Essendo questa categoria di cittadini meno numerosa degli operai e dei contadini, i risultati elettorali sono stati disastrosi.
Non avremo la legge contro l’omofobia, mentre quella sull’aborto verrà modificata, o applicata in modo più restrittivo.
Tanto più in quanto la sua interpretazione è rimessa alle Regioni: le quali, in alcuni casi – come avveniva in Liguria – la consideravano arbitrariamente prescrittiva dell’interruzione della gravidanza.
In conclusione, verrà introdotto quel tanto di confessionalismo che risulta compatibile con l’apparato normativo introdotto dalla Repubblica.
Come il Cardinale Gasparri rinunziò a rivendicare lo Stato Pontificio, così i suoi epigoni non si propongono di ritornare al Concordato del 1929, che riservava la disciplina degli effetti civili del matrimonio al Diritto Canonico.
Sul piano economico, la Chiesa otterrà forse di più – in proporzione – dei famosi due miliardi in Buoni del Tesoro che le fruttò la Convenzione Economica del 1929: con la generalizzazione del cosiddetto “Principio di Sussidiarietà”, alcuni soggetti di Diritto Privato, facenti capo all’ala più tradizionalista del Cattolicesimo, potranno prosperare nel campo della Sanità e nel campo dell’Istruzione.
Quanto più anzi lo Stato dovrà ridurre – per motivi di bilancio - l’erogazione di questi servizi, tanto più ne trarranno beneficio le cooperative, le cliniche e le scuole private.
Che diffonderanno tra le nuove generazioni il loro messaggio: contrario al laicismo, in tutte le sue declinazioni, ma anche contrario al Cattolicesimo Liberale.
I “Modernisti” saranno emarginati, al pari delle altre espressioni religiose non cattoliche, o meglio non tradizionaliste.
Che cosa può perdere, in questa situazione, la Chiesa?
Lo abbiamo già scritto, ma vale la pena di ripeterlo: la sostanziale subordinazione ad un regime illiberale – anche se si tratterà naturalmente di una “democratura” molto ben dissimulata – priverà la Santa Sede della possibilità di operare sul piano dell’ecumenismo.
Che si è sempre affermato in quanto poteva contare sull’apporto convinto e competente delle Autorità italiane.
Le quali vengono ora condannate ad una sorta di “damnatio memoriae”.
I tradizionalisti ripetono che la stessa Democrazia Cristiana era inquinata dal “Modernismo”, e Letta – in quanto suo epigono - è stato fischiato dalla platea di Rimini: i “portoghesi” portati in vacanza sulla Riviera Romagnola avrebbero fatto però lo stesso col redivivo De Gasperi.
Quale Chiesa, però, si sta accordando con la Meloni?
La Chiesa dei templi vuoti, dei monasteri e dei seminari che chiudono.
Non sarà un maggior flusso di denaro ad invertire questa tendenza.
Certamente, l’identità nazionale cui si rifà la Meloni include il Cristianesimo, ma nella sua ideologia confluiscono ugualmente l’esoterismo islamico di Buttafuoco e l’ispirazione neopagana, mutuata da certi romanzi alla moda: concepiti, non a caso, in un ambito culturale protestante.
La Meloni potrà accentuare l’una o l’altra delle ispirazioni inserite ne suo “melting pot” ideologico a seconda delle contingenze, e soprattutto delle convenienze.
Gli uomini come De Gasperi, Moro, Fanfani, Andreotti e La Pira erano invece dei cattolici tutti di un pezzo.
Anche se – purtroppo per loro – erano dei “modernisti”.