... le prospettive del Governo Meloni ...
Un certo Rossi, già collaboratore di Fini, ha analizzato – in una intervista apparsa su “La Repubblica” - le prospettive del Governo Meloni.
In primo luogo, egli ha messo in evidenza come la futura Presidente del Consiglio si appresti non soltanto ad affidare – come hanno fatto quasi tutti gli ultimi Governi – i Ministeri economici a dei “tecnici” perfettamente allineati con le esigenze dell’Unione Europea, così smentendo tutte le aspirazioni – sbandierate in campagna elettorale – ad una riacquisizione della “sovranità” italiana.
La nostra politica economica continuerà dunque ad essere sostanzialmente determinata da Bruxelles.
Quanto più però permarrà questa condizione di subordinazione, tanto più però aumenterà la retorica nazionalista, basata su di una idea dell’Italia che oscilla – dal Risorgimento fino al Fascismo – tra l’invenzione intellettuale e l’imposizione ideologica.
Tale contraddizione è destinata dunque ad approfondirsi, determinando l’esito dell’esperimento iniziato con l’avvento al potere dell’estrema Destra.
La Meloni tenderà inevitabilmente ad esasperare – come ha già fatto nei giorni scorsi – le sue polemiche con alcuni Governi europei, in particolare quello della Francia e quello della Germania, accusando l’uno di violare le norme europee perché concede un sostegno alle imprese contro l’aumento del prezzo dell’energia, e l’altro per una asserita “ingerenza” nei nostri affari interni.
È tipico di tutti i regimi autoritari cercare dei nemici esterni per addossare ad essi la responsabilità delle proprie difficoltà, e per rafforzare il consenso dei seguaci.
La Meloni, la cui visione non è soltanto centralistica, ma è anche – per così dire – “romanocentrica”, non tiene conto del fatto che il Nord Ovest guarda verso la Francia, così come il Nord Est guarda verso l’Austria e la Germania: non soltanto per via dei legami storici e culturali, ma soprattutto a causa di una integrazione economica che supera da tempo i confini tra gli Stati.
Quando Salvini tentò di resuscitare la politica dei “cannoni a Ventimiglia”, già praticata da Mussolini, ci trovammo tutti insieme a protestare – e soprattutto a ribadire la nostra volontà di proseguire nelle reciproca integrazione – sulla piazza di Nizza dedicata a Garibaldi, senza distinzione né tra Italiani e Francesi, né tra soggetti di diverso orientamento politico: prese anche la parola, in quella circostanza, in rappresentanza delle nostre imprese, un esponente vicino alla Lega come Enrico Lupi.
L’identitario, che costituisce la base dell’ideologia della Meloni, rappresenta un’arma a doppio taglio: è indubbio che l’averlo sdoganato nella politica nazionale segna il superamento delle vecchie ideologie, nel nome delle quali ci si divideva nel secolo scorso, ma è destinato anche a fomentare nuove divisioni: che possono essere altrettanto radicali e cruente, come aveva insegnato l’ex Jugoslavia, e come ci sta insegnando quanto avviene attualmente tra Russi ed Ucraini.
La stessa impossibilità di affermare in concreto il proprio “sovranismo”, che la Meloni sconta fin dal momento stesso in cui deve scegliere i propri Ministri, annunzia un futuro nel quale altre identità – più radicate di quella “italiana” - finiranno per manifestarsi, rivendicando i propri diritti.
La prossima Presidente del Consiglio è andata a Marbella per esprimere il proprio appoggio incondizionato a Santiago Abascal Conde, il quale si propone espressamente di abolire – quando andrà a sua volta al potere – le autonomie di cui godono la Catalogna ed il Paese Basco.
Questo Signore fa propria la posizione di Franco, secondo il quale i Catalani e i Baschi non esistevano, e quindi non potevano rivendicare nessun diritto.
Erdogan dice lo stesso dei Curdi, e Putin dice lo stesso degli Ucraini: in entrambi i casi, queste pretese hanno causato dei conflitti cruenti.
Se dunque Madrid abolisse il “Fuero” del Paese Basco e la Generalità della Catalogna, consacrati nella Costituzione e cui giura fedeltà il Re stesso nel momento in cui sale al trono, anche la Spagna ricadrebbe in una guerra.
La Meloni, che non perde nessuna occasione per atteggiarsi a “prima della classe” pretendeva che l’Italia estradasse Puigdemont quando visitava Alghero per sostenere la nostra minoranza di lingua catalana.
C’è dunque da aspettarsi che intenda reprimere tutti i movimenti autonomisti.
Il che significa, in un Paese che conta quattordici minoranze linguistiche, senza contare gli idiomi detti “regionali”, scoperchiare un vaso di Pandora.
Salvini, che un tempo applaudiva Bossi quando voleva mettere la bandiera italiana “nel cesso”, una volta convertito al centralismo si è ben guardato dal solidarizzare con gli indipendentisti della Catalogna, con cui pure la “Padania” si era gemellata.
Il “Capitano” si è limitato a dichiarare che riteneva eccessivo condannare i dirigenti della Generalità a lunghe pene detentive.
Il terreno della solidarietà con le istanze indipendentiste straniere, insieme a quello del confronto con le istanze autonomistiche nell’ambito dello stesso Stato italiano, è l’unico sul quale il nuovo Governo può essere messo in difficoltà, almeno in prospettiva.
La stessa crisi economica porterà lo Stato centrale da un lato a ridurre le prestazioni sociali e la spesa nelle infrastrutture, dall’altro a far sentire la propria presenza in periferia solo attraverso l’apparato repressivo.
Risulta però improbabile che l’Italia possa essere tenuta insieme soltanto dalla Polizia e dai Carabinieri.
C’è, naturalmente, anche quella maggioranza di cittadini che ha votato per il nuovo Governo, ma che cosa potrà dire – e soprattutto che cosa potrà dare – la Meloni ai suoi stessi Sindaci e “Governatori”?
Il nostro è il Pase dei campanili, il Paese dei Liberi Comuni, ed anche quello dove le identità regionali, rappresentate dai cosiddetti “Antichi Stati”, sono più forti.
Se il nuovo Governo si propone di realizzarne in modo autoritario una “reductio ad unum”, si scontrerà inevitabilmente con il suo irriducibile pluralismo sociale e culturale.
La Meloni sostiene l’Ucraina, ma dimentica che in quel Paese si combatte un conflitto identitario, causato – come si è detto – dalla pretesa di negare l’esistenza stessa di un popolo.
Se la guerra continua, la Russia vedrà moltiplicarsi sul suo territorio delle aspirazioni all’autodeterminazione.
Questo fenomeno, però, prescinde dalle vicende militari, in quanto ha radici più profonde dei conflitti tra gli Stati, e finirà un giorno per coinvolgere anche l’Italia.

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Mario Castellano  17/10/2022
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