Il discorso pronunziato in Parlamento dalla Meloni non la qualifica certamente come una statista: ...
Il discorso pronunziato in Parlamento dalla Meloni non la qualifica certamente come una statista: lo conferma la sua proclamata certezza di risolvere il problema del Mezzogiorno (!?).
Esso però dimostra ulteriormente le doti di scaltrezza e di spregiudicatezza che l’hanno portata ad affermarsi come protagonista sullo scenario politico nazionale.
Ottenendo la astensione sulla Fiducia del Partito che rappresenta la minoranza di lingua tedesca del Tirolo Meridionale, la Presidente del Consiglio ha infatti già determinato una frattura nella opposizione, cui prevedibilmente ne seguiranno delle altre.
La minoranza non risulta infatti assolutamente in grado di capire il disegno perseguito dalla Meloni, e tanto meno di opporre ad esso una diversa idea del Paese.
Due sono i punti centrali della ideologia che contraddistingue il nuovo regime: il riferimento identitario al nazionalismo italiano sul piano politico, ed il centralismo sul piano giuridico.
La Meloni persegue coerentemente entrambi gli obiettivi, ma si dimostra in grado di compiere delle mosse tattiche anche spregiudicate laddove intravede la possibilità di introdurre delle contraddizioni nel fronte avverso.
Ieri, ha detto che intende porre rimedio a quanto avvenuto nel 2002 in occasione della riforma del Titolo della Costituzione dedicato alle Autonomie Locali, quando vennero diminuite le competenze attribuite alla Provincia di Bolzano, che ora la Meloni si dice ora pronta a devolvere.
Qualcuno, considerando il fatto che il grado di autonomia attribuita alla Provincia di Bolzano costituisce un adempimento da parte italiana di due Atti di Diritto Internazionale stipulati in questa materia con l´Austria (cioè gli Accordi De Gasperi – Gruber ed il cosiddetto Pacchetto), ha colto in questa mossa un tentativo di accattivarsi le simpatie di Vienna: tanto più in considerazione del fatto che questa Capitale costituisce la porta di ingresso a quella Europa Orientale in cui la Meloni trova le sue maggiori affinità politiche.
Esiste però una diversa chiave di lettura: se il nuovo Governo dimostra di adempiere scupolosamente ai propri obblighi internazionali – come fa nel caso della Ucraina – esso può dedicarsi più tranquillamente ai suoi obiettivi interni, dai quali essenzialmente dipende il futuro della compagine al potere.
A Trento, le Autorità della Provincia Autonoma hanno subito protestato.
Dopo avere posto in vigore tutte le misure contemplate nel cosiddetto Pacchetto, riguardanti soltanto Bolzano, lo Stato italiano aveva deciso unilateralmente di estenderle al Trentino, equiparando il suo status giuridico con quello del Tirolo Meridionale.
Poiché la diminuzione di competenze decisa nel 2002 aveva dunque colpito in eguale misura i Tirolesi Meridionali ed i Trentini, questi ultimi speravano di godere anche essi della devoluzione annunziata dalla Meloni.
Costoro si sono dunque accorti per primi del fatto che la Presidente del Consiglio usa il divide et impera, e non soltanto ai loro danni.
Lo dimostra il fatto che nello stesso discorso la Meloni ha asserito di volere riprendere le trattative con varie Regioni sul tema della cosiddetta autonomia differenziata.
La Presidente del Consiglio ignora evidentemente che in realtà queste trattative non sono mai iniziate.
La responsabilità di tale mancanza deve essere ripartita tra gli anteriori Governi – che avevano sempre rifiutato di intavolarle – ed i cosiddetti Governatori, i quali si sono sempre ben guardati dal rappresentare a Roma le istanze dei propri concittadini.
Questa storia inizia con i due referendum del Veneto e della Lombardia, con cui la maggioranza dei loro abitanti – istigati da Zaia e Fontana – richiese che queste Regioni divenissero a Statuto Speciale, cioè che acquisissero una autonomia più ampia rispetto a quelle a Statuto ordinario.
Senza celebrare alcun referendum, anche Liguria ed Emilia espressero la stessa rivendicazione mediante un voto unanime dei rispettivi Consigli.
Da Genova partì una maxi - delegazione bipartisan, che venne però ricevuta a Palazzo Chigi soltanto per cortesia, senza che i funzionari della Presidenza del Consiglio accettassero di considerare nel merito le sue rivendicazioni: il Presidente del Consiglio non si fece neanche vedere.
I soldi spesi per il viaggio ed il soggiorno, annunziato con molta enfasi, andarono dunque sprecati.
Ora la Meloni dice che vuole entrare nel merito.
Se fosse sincera, dovrebbe almeno domandare al suo Ufficio Legale come procedere.
Le strade sono due: una è quella dello Statuto Speciale, formalmente ottriato dallo Stato mediante una apposita Legge Costituzionale, il cui contenuto ha tuttavia costituito sempre il frutto di un negoziato.
Quando però un nuovo eventuale Statuto Speciale fosse concesso a delle Regioni prive di caratteristiche particolari – non trattandosi né di quelle popolate da minoranze linguistiche, né delle Grandi Isole – si porrebbe il problema di giustificare sul piano politico il loro trattamento diseguale.
Come si spiegherebbe, per esempio, che la Toscana potesse legiferare su più materie rispetto alla Liguria?
Volendo dunque generalizzare la cosiddetta autonomia differenziata, occorrerebbe seguire la via di una riforma costituzionale che autorizzasse ogni Regione ad emendare unilateralmente il proprio Statuto: salvo naturalmente sollevare una questione di illegittimità costituzionale qualora risultassero vulnerate le competenze esclusive dello Stato.
Se però si deve mettere mano alla modifica della Costituzione, perché non scegliere la via della trasformazione del nostro Paese in una Repubblica Federale?
In Spagna, il modello della autonomia differenziata – ed in sostanza confederale - venne adottato fin dalla transizione democratica, ma è proprio questo modello che Abascal, con il consenso entusiasta della Meloni, vuole abolire per ritornare al centralismo: in conformità con una ideologia comune, secondo cui esistono soltanto gli Spagnoli, o soltanto gli Italiani.
Nel 1867, perduta Venezia, lo Impero Asburgico si trasformò nella Duplice Monarchia, cioè in due Stati in unione personale, essendo il loro Capo Imperatore di Austria e Re di Ungheria.
Questo stabilì il cosiddetto Ausgleich, cioè Compromesso.
Che scontentò gli Slavi dello Impero, secondo cui si erano fatti figli e figliastri.
Questa storia portò a Sarajevo.
I Tirolesi Meridionali dovrebbero conoscerla meglio di noi, e trarne un insegnamento.
In occasione delle ultime Elezioni Regionali e Politiche, essi hanno rifiutato di aiutare gli altri movimenti autonomistici.
Potendo contare sugli obblighi internazionali di Roma, ritenevano infatti vantaggioso applicare la regola del ciascuno per sé e Dio per tutti.
Quanto accaduto nel 2002 dovrebbe sconsigliare tale atteggiamento, e comunque la democrazia, così come la autodeterminazione, sono cause universali.
Quando una di esse viene messa in questione, si trovano in pericolo dovunque e per tutti.

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Mario Castellano  27/10/2022
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