In un precedente articolo, abbiamo notato come stia incombendo minacciosa, sul Municipio di Imperia, l’ombra di Berrino.
In un precedente articolo, abbiamo notato come stia incombendo minacciosa, sul Municipio di Imperia, l’ombra di Berrino.
Il Manzoni cita – per una situazione analoga – il fantasma di Banco, che appariva a Macbeth.
La saggezza popolare ammonisce a sua volta come il cornuto sia sempre l’ultimo informato di essere tale.
Circola in Città – senza però giungere fino alle segrete stanze di via Matteotti, essendo taciuta al diretto interessato da parte dei cortigiani - la voce di una candidatura a Sindaco del benemerito Ispettore Bracco, esemplare figura di servitore dello Stato: il quale – se quanto si dice corrisponde al vero – godrebbe del supporto dei Fratelli d’Italia.
Nel frattempo, la trasmigrazione di esponenti della malandata consorteria del Bassotto versi i più accoglienti lidi della estrema Destra ha assunto le proporzioni di un esodo biblico.
I Nazionalisti di Federzoni confluirono nel Partito Fascista in occasione del Congresso di Napoli del 1924, e di lì a poco vennero inseriti nel cosiddetto Listone.
In cambio, Mussolini rinunziò a proclamare la Repubblica.
Non vi è viceversa assolutamente nulla che la Meloni non abbia già concesso alla Destra detta per bene sul piano della rispettabilità istituzionale, né a sua volta il Bassotto dispone più di un pacchetto apprezzabile di voti.
La candidatura dello Ossigenato è naufragata, e lo stesso suo capo Toti è ormai in procinto di confluire nelle truppe della Presidente del Consiglio.
Rimangono soltanto pochi manipoli dispersi, in via di sbandamento o in cerca di un nuovo arruolamento.
Per concludere un affare, occorre che le parti abbiano qualcosa da scambiare: qui, invece, non vi é più nulla né da dare, né da ricevere.
La alternativa in cui si trovano i Fratelli della Meloni è tra permettere la proroga della attuale sindacatura, riducendo il Primo Cittadino ad un ruolo meramente decorativo, oppure fare come Odoacre con Romolo Augustolo, deposto da Imperatore in cambio di una pensione e di un dorato esilio in una villa della Campania.
La villa è già predisposta, e la coltivazione degli asparagi, in cui il Sindaco dice di eccellere, gli permetterebbe di passare dal ruolo politico a quello di imprenditore agricolo.
Il nostro Paese si sta riempiendo di persone che si ritirano nelle loro tenute, non riconoscendosi in un potere – anzi in un mondo - radicalmente diverso da quello cui erano abituate da settantasette anni a questa parte.
Lo stesso Berlusconi finirà per arroccarsi nelle sue ville, siano esse Arcore, Macherio o Villa Grande: che – a detta degli esperti – non è poi tanto grande, e dispone di una foresteria di dimensioni più ridotte rispetto a Palazzo Grazioli.
Anche quanti chiedono ospitalità sono però diminuiti drasticamente.
Alla porta di Villa Nina busseranno comunque soltanto pochi nostalgici, in inesorabile diminuzione per motivi anagrafici.
Gorleri diverrà una riproduzione in piccolo di Cascais, dove i monarchici andavano per sfogare le loro frustrazioni, ovvero per meditare improbabili restaurazioni.
Sempre cercando nella storia patria dei precedenti, la magione di Gorleri potrebbe però essere concepita come un equivalente del Ridotto della Valtellina, dove Mussolini voleva rinchiudersi circondato dai più irriducibili repubblichini.
Ciò avverrebbe nel caso il Bassotto recalcitrasse dinnanzi alla defenestrazione, e volesse affrontare una cosiddetta Bella Morte, mettendosi alla testa di una lista civica, come faceva negli intervalli tra i suoi diversi arruolamenti nelle fazioni nazionali.
In una di queste circostanze, dicono abbia presidiato a lungo la porta di Villa San Martino, fino a che il Cavaliere decise di farlo entrare.
Si ripeté la vicenda di Canossa, con il Sindaco nei panni di Enrico IV e Berlusconi in quelli di Gregorio VII.
Risulta però inutile ripetere questa performance in via della Scrofa: è già tanto se vi è stato ricevuto, in veste di penitente, lo stesso Cavaliere.
Quando cambia una classe dirigente, gli appartenenti a quella anteriore devono considerarsi contenti se ciò ha luogo in modo incruento, e se possono preservare le loro prebende, senza però disturbare i nuovi padroni.
Draghi ha una grande tenuta in Umbria, e può muoversi a suo agio in tutto il mondo occidentale, ovunque omaggiato.
Scajola potrà viceversa giocare a scopone nella sua villa con Vaccarezza, il quale ai bei tempi era il solo ammesso senza appuntamento.
Sic transit gloria mundi.
La politique politicienne cui era abituato il Nostro era fatta di astuzie paesane: un giorno ci si accordava con Parodi per fregare Manfredi, il giorno dopo ci si coalizzava tutti quanti per fregare Verda, e così via.
Le uniche battaglie campali venivano combattute contro Napoleone (Nomen, omen) Cavaliere nelle Sezioni di Sanremo.
In base agli esiti, ci si credeva padroni del mondo.
A ben vedere, gli unici alleati su cui il Nostro può ancora contare sono gli ex Comunisti, disposti a sostenerlo nel nome di qualche miserabile affarucolo, consumato nel modo in cui un tempo si condividevano i commerci con Belgrado.
Tutti sanno che cosa pensiamo della Meloni, ma indubbiamente questa donna ha rotto i vecchi schemi: pagato il pedaggio agli Occidentali con il supporto alla Ucraina e tacitato il mondo cattolico con la generalizzazione della cosiddetta Sussidiarietà, può dedicarsi indisturbata al compito di edificare la sua democratura.
La prossima tappa consisterà nel trasformare una parte dei percettori del Reddito di Cittadinanza in altrettanti miliziani del suo esercito privato: si tratta infatti di un lavoro senza dubbio socialmente utile, naturalmente dal punto di vista della Presidente del Consiglio.
Noi settentrionali non abbiamo il physique du role necessario per svolgere tale compito, proprio invece dei borgatari di Roma.
Al massimo, si possono inquadrare i tifosi della Pallanuoto.
I quali, però, si sono già sbandati, come la Milizia il Venticinque Luglio, e come i repubblichini il Venticinque Aprile.

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Mario Castellano  31/10/2022
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