Sergio Saviano ha pubblicato, su La Stampa di Torino del 16 novembre, la propria autodifesa ...
Sergio Saviano ha pubblicato, su La Stampa di Torino del 16 novembre, la propria autodifesa nel processo in cui è apparso a Roma come imputato del reato di ingiurie, avendo definito testualmente bastarda la Meloni.
Poiché ad un soggetto pluriquerelato come il noto saggista napoletano non mancano certamente i consulenti giuridici, viene da pensare che Saviano abbia deliberatamente violato la norma penale trovandosi in cerca del cosiddetto strepitus fori.
Essendo a sua volta caratterizzata la Presidente del Consiglio tanto da una notevole autostima quanto da una concezione autoritaria della sua funzione pubblica, era inevitabile che tra i due si pervenisse ad uno scontro nelle aule giudiziarie.
In favore di Saviano si sono mossi altri autorevoli intellettuali, pubblicando articoli a suo favore ed accorrendo a piazzale Clodio in qualità di avvocati.
Costoro non sono da confondere con i patroni, incaricati della difesa tecnica, essendo piuttosto persone importanti, le quali sedevano in giudizio al fianco di una delle parti per testimoniarle la propria solidarietà e protezione.
La Questura, con una mossa degna della vecchia polizia politica sovietica, ha però fatto trovare tutti i posti riservati al pubblico già occupati, presumibilmente da Agenti in borghese, ovvero da pensionati della Polizia.
Segno, questo, che la Meloni conta tuttora, a San Vitale, su mai sopite simpatie verso la sua parte politica.
Questo, però, è soltanto folclore locale, degno di una di quelle farse vernacole che hanno appunto le Preture come scenario.
Rimane la domanda sul motivo per cui Saviano ha voluto ad ogni costo essere querelato dalla Presidente del Consiglio.
A costei si è prontamente aggiunto il rissoso Salvini, malgrado non abbia titolo per partecipare al processo: il querelante può essere infatti soltanto la parte lesa.
Nel suo articolo, che non gli è stato permesso di leggere in aula, lo scrittore partenopeo dichiara – certamente con ragione – che il nostro Paese deve essere ormai annoverato tra le cosiddette democrature, cioè tra le dittature mascherate da democrazie.
Rimaneva però il problema di comunicare tale valutazione ai cittadini degli Stati di Diritto del Nord – Ovest del mondo: i quali hanno sempre bisogno – per farsi una idea di quanto accade ad altre latitudini – di una icona, che deve essere adeguatamente oltraggiata in patria.
Anche da noi si è fatto ricorso a questa consolidata tecnica della captatio benevolentiae.
Vedasi il caso dello studente egiziano Zaki, prima laureato a Bologna malgrado abbia dimostrato di non conoscere assolutamente la lingua di Dante, poi rimandato sulle sponde del Nilo per farsi arrestare, ed infine trattenuto dalla polizia politica locale.
Qui la regia mediatica del caso ha steccato, non avendo previsto che il regime, fiutata la occasione, avrebbe deciso di spillarci dei soldi.
Saviano non corre tale rischio, ma serve per dimostrare che in Italia si reprime il dissenso.
Questo era però già assodato fin da quando il Decreto detto Rave Party considera reato ogni raduno di più di cinquanta persone.
Tuttavia, un lettore di Nuova York non si commuove perché un gruppo di nostri connazionali è stato arrestato avendo passeggiato sul lungomare di Salerno, o avendo seguito un funerale a Pordenone: tutti comportamenti che secondo la Meloni possono mettere in pericolo lo ordine pubblico.
Più facile commuoversi quando ad uno scrittore di successo si è tappata la bocca.
Saviano si è dunque offerto di fare da cavia di una restrizione della libertà di espressione che però non si registra ancora, ovvero già esisteva.
Da sempre infatti – in Italia come altrove - dare del bastardo ad un altro soggetto configura il reato di ingiurie.
Può darsi però che la decisione di mettere in un angolo la Meloni, facendo risaltare la deriva autoritaria del suo Governo, sia stata adottata dagli ambienti intellettuali legati al potere politico ed economico internazionale che orientano tanto i grandi mezzi di comunicazione quanto gli atteggiamenti dei governi occidentali.
Bernard Henry Lévy, che in questo ambito svolge da sempre un ruolo di punta, ha da tempo lanciato il suo allarme sulla sopravvivenza dello Stato di Diritto in Italia.
Con piena ragione, dato il deterioramento che si percepisce in provincia, dove non arriva lo sguardo dei corrispondenti stranieri.
Se Saviano si è mosso per darci una mano, ciò significa che intorno al regime della Meloni sta per essere steso dai Paesi occidentali un cordone sanitario.
Qualora a tale operazione collabori anche un uomo del suo livello, non può che farci piacere: anche se i mezzi giuridici non sono i più adeguati, la causa è indubbiamente giusta.
Ci sentiamo dunque meno soli.