Il Governo Meloni ha emanato un Decreto Legge con cui si propone di porre fine alla attività svolta da diversi Organismi non Governativi ...
Il Governo Meloni ha emanato un Decreto Legge con cui si propone di porre fine alla attività svolta da diversi Organismi non Governativi, dediti a recuperare i migranti nel Canale di Sicilia ed a trasportarli fino ai porti italiani. Le sanzioni sono di carattere amministrativo, e non penale, ma non hanno soltanto carattere pecuniario, comprendendo anche il sequestro delle imbarcazioni. Valutiamo questo atto legislativo esclusivamente nei suoi termini giuridici. È inutile, infatti, domandarsi quale sia la sua valenza politica qualora risulti in pratica inapplicabile. Occorrerà comunque attendere le sentenze che inevitabilmente verranno pronunziate dai Tribunali Amministrativi, essendo prevedibile una impugnazione in tale sede degli atti con cui si applicheranno le sanzioni previste dal Decreto. Non si può prescindere, in primo luogo, dal problema posto dal coordinamento con le norme di Diritto Internazionale riguardanti i salvataggi in mare. Queste norme vigono anche in Italia, avendo il nostro Paese sottoscritto e ratificato i Trattati con cui sono state introdotte, che il Decreto Legge comunque non abroga espressamente. Qualora ciò avvenisse, gli altri Stati contraenti lamenterebbero infatti una violazione da parte nostra del Diritto Internazionale. La cosiddetta Legge del Mare afferma che ogni imbarcazione da cui vengano avvistati dei naufraghi ha il dovere di soccorrerli, e quindi di sbarcarli nel porto sicuro più vicino, anche se situato nel territorio di un Paese terzo. A sua volta, questo Paese ha il dovere di permettere lo sbarco di chi è stato salvato. Quanto avviene successivamente è invece regolato dallo ordinamento giuridico interno, che però si conforma con altri Trattati, cioè quelli sul Diritto Internazionale Umanitario. Se una persona richiede asilo politico, la corrispondente istanza viene valutata dagli organi competenti. Se invece il naufrago è diretto in un altro Paese, può lasciare il territorio dello Stato in cui è sbarcato. Può darsi però che costui, tentando di entrare in uno Stato terzo, ne venga respinto. A questo punto, non potendo lasciare il territorio italiano, né volendo naturalmente essere rimpatriato, il naufrago chiede immancabilmente asilo. Esaurite le istanze amministrative – vale a dire la Commissione di Primo Grado e poi la Commissione di Secondo Grado - costui può impugnare gli atti con cui sia stata respinta la sua domanda ricorrendo al Tribunale Amministrativo Regionale, ed infine al Consiglio di Stato. Nel frattempo – per un lasso prevedibile di alcuni anni – il nostro Paese lo deve mantenere. Salvo, naturalmente, che questi riesca – come avviene in molti casi – a varcare clandestinamente un confine, raggiungendo località in cui può contare su di una rete di solidarietà familiari, etniche o religiose tale da garantirgli una accoglienza, sia pure illegale. Chi – come noi - conosce la frontiera di Ventimiglia, sa benissimo che quanti tentano di varcarla si dividono in due categorie: i disperati che vanno alla avventura, per lo più individuati e respinti, e quanti contano invece su di un sistema collaudato di cosiddetti passeurs. Questi ultimi giungono agevolmente a destinazione. Ritorniamo però al caso di chi rimane volontariamente in Italia. In base alle norme che regolano il diritto di asilo, quando la relativa istanza risulti definitivamente respinta, il Paese cui essa è stata rivolta non può comunque restituire il richiedente allo Stato di origine. Se anche, infatti, non risulta che costui sia stato perseguitato, lo diviene automaticamente per il fatto stesso di avere cercato rifugio altrove, dichiarandosi con ciò stesso oppositore. Il Decreto Legge ora introdotto dal Governo è volto verosimilmente ad impedire il proliferare di simili casi. Per ottenere tale scopo, si sanziona dunque chi lo ha portato il naufrago in Italia. Ciò causa però inevitabilmente una contraddizione con le norme che abbiamo ricordato, introdotte nel nostro ordinamento – lo ripetiamo – in quanto previste dai Trattati che abbiamo sottoscritto e ratificato. Se infatti il Comandante di una nave omette di salvare dei naufraghi, incorre in un reato. Se però li salva e li porta nel nostro Paese, viola il suo ordinamento, ed è dunque passibile di una sanzione. Il Decreto Legge, nello intento di evitare tale contraddizione, distingue dunque tra due diverse fattispecie: chi, nel corso della sua navigazione, trova dei naufraghi alla deriva e li porta in Italia, non viola la Legge, mentre la trasgredisce chi prende di proposito il mare al fine di ricercarli. Risulta chiaro che alla prima categoria appartengono le imbarcazioni della Marina Mercantile o della Marina Militare che avvistano qualche persona in procinto di annegare e la riscattano. Alla seconda categoria appartengono invece le navi degli Organismi non Governativi. Le quali, però potrebbero essere sanzionate soltanto qualora venisse provato che si recano appositamente in un porto straniero per caricare delle persone, nel qual caso si incorrerebbe nel reato di favoreggiamento della immigrazione clandestina, già previsto dalle norme penali. Le navi umanitarie battono invece le acque internazionali alla ricerca di chi ha già intrapreso la traversata e si trova in difficoltà. Altri, più dotati di mezzi economici, arrivano indisturbati nei nostri porti, dove sbarcano da imbarcazioni dotate di ogni confort, senza bisogno di alcun soccorso. Costoro compongono però una sorta di aristocrazia della migrazione, mentre i disperati corrono il rischio di annegare. Se anche si ammettesse che la nuova norma prevale su quella contenuta nei Trattati, i componenti gli equipaggi delle navi umanitarie potrebbero comunque invocare lo stato di necessità, che esclude la punibilità di comportamenti costituenti reato, e dunque esclude a maggior ragione la possibilità di sanzionare chi commette delle infrazioni amministrative. Un automobilista che porta in ospedale un ferito o un malato in pericolo di vita, non può essere multato per eccesso di velocità, oppure per procedere contro mano. Il Decreto emanato dal Governo risulta dunque praticamente non applicabile. Nello immediato, tuttavia, le sanzioni verranno erogate, e si sequestreranno le imbarcazioni degli Organismi non Governativi. Prevedibilmente, però, esse verranno prontamente sostituite, ed il braccio di ferro tra il nostro Governo e quelli dei Paesi cui esse appartengono è destinato dunque a proseguire ad oltranza, inquadrandosi nel più ampio contenzioso con gli altri Europei Occidentali, in cui la Meloni ha deciso di entrare nel nome di quanto ella chiama sovranità. Si tratta invece di nazionalismo, per giunta obsoleto. Rimane da vedere quale esito avranno le inevitabili dispute giudiziarie. Se la stessa Magistratura italiana darà torto al Governo, dissequestrando le navi, la Meloni avrà dimostrato che il suo Ufficio Legislativo non conosce il Diritto. Ricordiamo anche che in sede di Giurisdizione Amministrativa potrebbe essere sollevata una questione di legittimità costituzionale del Decreto Legge: sia in quanto la Legge Suprema afferma che il nostro ordinamento giuridico si conforma con le norme di Diritto Internazionale generalmente riconosciute, ponendole dunque allo stesso livello della Costituzione nella gerarchia delle fonti; sia perché la essa tutela il diritto di asilo. Se invece i Giudici riterranno la nuova norma prevalente su quella imposta dai Trattati, il nostro Paese si troverà isolato dalla Comunità Internazionale.