La Meloni si è rivolta alla Nazione, avendo la Signora della Garbatella in gran dispitto – come diceva Dante...
La Meloni si è rivolta alla Nazione, avendo la Signora della Garbatella in gran dispitto – come diceva Dante – la parola Paese, che evoca al suo orecchio suggestioni più provinciali e meno magniloquenti, indirizzando loro un messaggio augurale di Capodanno.
Da quando si è instaurata la Repubblica, nessun Presidente del Consiglio aveva mai infranto il protocollo costituzione, che in Italia – come in tutte le democrazie parlamentari – riserva tradizionalmente tale adempimento al Capo dello Stato.
Quanto avvenuto nei giorni scorsi annunzia dunque la introduzione nel nostro ordinamento di una sorta di diarchia diseguale, simile a quella instaurata tra il Re ed il Duce durante il regime fascista.
Che sia ormai in atto una crisi istituzionale, lo si era capito del resto fin da quando la Presidente del Consiglio aveva tenuto la tradizionale conferenza stampa di fine anno, annunziando la propria intenzione di sostituire la democrazia parlamentare con un regime presidenziale.
Questo è del resto il modello che Destra ambisce ad instaurare fin dal tempo di Pacciardi e della cosiddetta Nuova Repubblica.
La Meloni non ha ancora detto – o non ha ancora deciso – se intenda ispirarsi alla Francia, dove rimangono distinte le cariche del Presidente delle Repubblica e del Primo Ministro, oppure agli Stati Uniti, dove il Presidente assomma le funzioni di Capo dello Stato e Capo del Governo.
Simili propositi avrebbero dovuto causare qualche inquietudine in Sergio Mattarella, essendo egli in attesa di conoscere il proprio destino: nel primo caso, egli manterrebbe quanto meno dei compiti di rappresentanza, mentre nel secondo verrebbe rispedito in Sicilia per dedicarsi alla amministrazione delle sue tenute agricole.
Il precedente, poco glorioso, è costituito da Romolo Augustolo, che Odoacre restrinse in una villa della Campania, sia pure dotandolo di un apposito emolumento vitalizio.
Mattarella non pare tuttavia affatto turbato da una simile inquietante prospettiva: egli anzi si rallegra in quanto la democrazia italiana è così vitale che si sono alternati negli anni scorsi a Palazzo Chigi esponenti di tutti i Partiti.
Si parva magnis componere licet, è come se Hindemburg, rivolgendosi ai Tedeschi dopo il tragico 1933, avesse esultato nel constatare che dopo i Cancellieri liberali, socialisti e popolari ce ne fosse finalmente anche uno nazionalsocialista.
Il problema consisteva – e consiste ora per il nostro Paese – nel fatto che il nuovo arrivato non aveva alcuna intenzione di sottostare alla regola – propria di ogni democrazia – che prevede una alternanza al governo.
Che la Meloni intenda permanere a Palazzo Chigi a tempo indeterminato, lo si desume dal suo primo atto legislativo, con cui i cittadini vengono privati di fatto del diritto di riunione.
Mattarella ha però promulgato il relativo Decreto senza nulla eccepire.
Eppure, trattandosi di un illustre giurista, per di più incorporato nel supremo organo di garanzia, qualche dubbio sulla sua legittimità costituzionale avrebbe dovuto concepirlo.
Il punto di non ritorno era stato però raggiunto nel momento stesso in cui egli aveva accettato le dimissioni di Draghi, anziché rinviarlo alle Camere per guidare il Governo fino al naturale compimento della Legislatura.
Il copione era tuttavia già scritto, e prevedeva che la Meloni assumesse la Presidenza del Consiglio.
A distanza di cento anni, si è ripetuto quanto già vissuto nel 1922.
Nella notte dal 27 al 28 ottobre, Facta aveva sottoposto al Re il Decreto che instaurava lo Stato di Emergenza: bastava promulgarlo per fermare la Marcia su Roma.
Non avendo posto la sua firma, il Sovrano iniziò quel Descensus Averni che lo avrebbe condotto a sottoscrivere anche le sciagurate Leggi Razziali.
Vittorio Emanuele III, aprendo le porte al Fascismo, condannò in primo luogo sé stesso.
Da quel momento, infatti, la Monarchia sopravvisse soltanto come punto di riferimento per quanti non si opponevano al Fascismo, accontentandosi della sopravvivenza delle forme proprie dello Stato liberale, cioè la Corona e lo Statuto.
Intanto, però, il nuovo potere assumeva il completo controllo dello Stato.
Esattamente come sta succedendo nel momento presente.
Kirkegaard descrive la condizione attuale di tutti gli Occidentali paragonandoli ai passeggeri di una nave, intenti ad ascoltare un Signore che si rivolge a loro dal ponte con il megafono.
Non si tratta però del Comandante, che indica la rotta, bensì del cuoco di bordo: il
quale annunzia che cosa si mangia a pranzo.
Mattarella è il cuoco, la Meloni è il Comandante.