Il nostro viaggio a Nizza è iniziato con una sosta al santuario di Notre-Dame-de-Laghet ...
Il nostro viaggio a Nizza è iniziato con una sosta al santuario di Notre-Dame-de-Laghet, in omaggio alla tradizione ancestrale che lo collocava al vertice delle infinite devozioni mariane diffuse su tutta la costa, partendo dalla foce del Varo per addentrarsi nei territori posti al di qua del confine.
Il culto dedicato a questa Madonna tipicamente contadina nella sua stessa popolaresca ed ingenua effige ed invocata tradizionalmente dalla gente minuta, che le ha dedicato gli infiniti ex voto esposti nei locali adiacenti alla Chiesa, riflette la nostra identità di transizione.
Lo si può capire leggendo le lapidi, redatte in italiano le più antiche, ed in francese le più recenti.
Il solo Santo ricordato per la devozione riferita al Santuario è un italiano, il cappuccino Giovanni Maria da Camporosso, il quale – data la sua origine ventimigliese – era certamente dedito a frequentare questo luogo sacro, benché avesse svolto tutto il suo apostolato tra la gente del Porto di Genova, che ancora in vita lo chiamava il Padre Santo.
La Messa feriale riunisce uno sparuto gruppo di fedeli, che ricorda quanto disse Gesù quando ammonì i discepoli su come bastasse riunirsi in pochi affinché Egli fosse presente.
La qualità, molto elevata, della piccola Assemblea compensa la scarsa quantità: lungi da noi giudicare la sincerità dei praticanti, ma la Messa celebrata in Francia conserva sempre qualcosa di ieratico, che da noi si è perduto, o forse non è mai esistito.
Oltralpe si prega per un bisogno interiore; da noi – in molti casi – per abitudine, se non per convenienza.
Il nostro Cattolicesimo, benché non più maggioritario, conserva le pecche acquisite quando ancora era tale.
Pacelli riconosceva che avevano ragione i Tedeschi a rimproverarci che stiamo in Chiesa come al teatro: anche se ricordava argutamente che viceversa i Tedeschi stanno al teatro come in Chiesa.
Le dieci Suore presenti – probabilmente tutta quanta la Comunità monastica che accudisce al Santuario – eseguono impeccabilmente i canti di accompagnamento alla Liturgia, ed il Sacerdote pronunzia una omelia ricca di dottrina, senza però alcuna affettazione della propria cultura.
La quale tuttavia traspare dalla espressività e dalla chiarezza cartesiana del linguaggio, degno di un Bossuet o di un Dupanloup.
Se questo prete fosse incaricato di predicare durante la Quaresima in Cattedrale, riunirebbe le folle.
I contenuti dottrinali del discorso riflettono anche bene certi temi tipici del cosiddetto ultramontanesimo, riferendosi in particolare alla sacerdotalitá insita in tutti i fedeli, e non soltanto nel Clero.
Sono a disposizione dei visitatori alcuni inviti ai corsi di esercizi spirituali che si svolgeranno di qui fino a Pasqua tanto a Laghet quanto in alcune Abbazie dei dintorni di Nizza, tra cui spicca Leirins.
Uno, in particolare, rientra in un ciclo ispirato ai Martiri di Tifrine, canonizzati perché uccisi in odio alla Fede, ma in vita tacciati di sincretismo da parte dei tradizionalisti.
A Laghet non vi è comunque nessuna traccia dei lefevriani.
La Chiesa francese continua a produrre cultura.
Lo testimonia il fatto che si viene qui essenzialmente per pregare e per meditare.
I fedeli che salgono su questa montagna – tanto scoscesa ed apparentemente remota quanto in realtà prossima a Nizza – ricordano Gesù che si isola nel deserto della Giudea; quelli italiani che si recano in luoghi analoghi, sembrano invece imitare il suo ingresso a Gerusalemme nella Domenica delle Palme: con la differenza – però – che plaudono a sé stessi.
Per rendersene conto, basta recarsi a Pompei o a Loreto: gli arrivi delle comitive segnano il momento della massima rumorosità ed estroversione, mentre i Francesi divengono ancora più austeri quando raggiungono la meta della loro devozione.
Sulla via del ritorno, sostiamo a Montecarlo per fare il punto della situazione con i soliti amici, italiani residenti.
Incombono sulle strette vie e piazze del Principato gli innumerevoli grattacieli, cui se ne aggiungono perennemente dei nuovi.
Anche se molto rimane invenduto, le banche non chiedono ai costruttori di rientrare, e costoro – ubriacati dai crediti perennemente rinnovati – edificano forsennatamente, causando in chi sta al livello del suolo un senso di claustrofobia.
A Manhattan i palazzi sono più alti e più numerosi, ma qui la fungaia lotta con gli spazi angusti del secondo Stato più piccolo del mondo.
Che ha in comune con il Vaticano precisamente il fatto di costituire un rifugio: in un caso per il Papa, e qui per tutti quanti cercano sicurezza finanziaria.
Non soltanto, in realtà, finanziaria.
Uno dei nostri amici racconta che da Parigi si sta fuggendo in massa, a costo di liquidare le proprie attività e in molti casi di vendere a basso prezzo gli immobili.
Tale esodo riguarda tanto chi dispone di grandi tenute come chi fugge in provincia senza possedervi nulla: proprio come avvenne nella decadenza dello Impero Romano.
Quanto si teme – a volte in modo subliminale – sono le violenze prodotte dallo scoppio della rabbia sociale.
La catastrofe economica prossima ventura – accompagnata da un altrettanto prossimo venturo Medio Evo – spiega anche le costruzioni di Montecarlo.
Cerchiamo di immaginare un ricco che abbandona uno spazioso appartamento sulla Avenue Foch per rinchiudersi in un cubicolo di questi alveari.
Ve ne è uno – di proprietà del Comune – dove hanno sede le Associazioni: anche le loro sale di riunione, però, sono piccole in proporzione alle abitazioni.
Tempo fa, scrivemmo ad un amico del Vaticano annunziando che un giorno si sarebbe dovuto organizzare uno sfollamento di Frati e Suore da Roma verso la provincia: da noi non mancano i Conventi vuoti, come quello di Taggia, ora affollato di Ucraini.
Si annunzia dunque una ripresa della pratica religiosa, dovuta alla abbondanza della offerta.
Qualcosa di simile avvenne durante la guerra, appunto con il fenomeno degli sfollati.
Noi ci siamo già ritirati sui colli a ridosso di Imperia, in attesa degli eventi.

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Mario Castellano  17/01/2023
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