Sulla cattura – o meglio sulla costituzione – di Matteo Messina Denaro si stanno versando i classici fiumi di inchiostro...
Sulla cattura – o meglio sulla costituzione – di Matteo Messina Denaro si stanno versando i classici fiumi di inchiostro.
In realtà, tra tanti articoli cosiddetti di colore, manca una analisi adeguata: che dovrebbe vertere in primo luogo sulla protezione ambientale di cui il presunto Capo dei Capi ha indubbiamente goduto per tanti anni.
I bunker sotterranei servono a ben poco: quando le Forze di Polizia decidono di compiere una perquisizione, risulta fin troppo facile scovarli, ed infatti altri latitanti ne sono stati estratti con molta facilità.
Occorre dunque soltanto localizzare il domicilio in cui essi si nascondono, ma il punto è proprio questo: costoro non conducono affatto una vita da reclusi, e circolano tranquillamente per la strada, malgrado i controlli - i cosiddetti pattuglioni - si siano sempre sprecati.
Se Messina Denaro non è stato catturato, pur non avendo mai lasciato i luoghi di origine - o meglio proprio essendo rimasto sempre nel suo ambiente – lo si deve al fatto che la gente del luogo era assolutamente omertosa, ed è rimasta tale fino ad oggi.
Fino a quando, cioè, il personaggio più ricercato del nostro Paese ha deciso – verosimilmente essendo stato sostituito al vertice di Cosa Nostra – di proseguire la terapia in una clinica del cosiddetto circuito carcerario.
Il suo compito di Capo dei Capi (ammesso che fosse veramente tale) era ormai compiuto.
Tempo fa, ricevemmo la visita di uno dei dirigenti del movimento indipendentista meridionale, che non figura né tra i soggetti politici ufficiali, dediti a misurarsi nelle elezioni, né comunque tra quelli conosciuti.
Approfittammo di tale incontro per conversare a lungo sulla situazione del Meridione.
Il nostro interlocutore – che vantava la discendenza da un illustre casato del Regno di Napoli – ci descrisse una situazione di grande effervescenza, caratterizzata dal pullulare di movimenti separatisti.
La loro renitenza non soltanto a competere per le cariche elettive, ma anche a svolgere una attività politica palese, poneva gli osservatori davanti ad un dubbio, e come ad una alternativa radicale: o si trattava di pura millanteria – non fu però questa la nostra impressione, dato che il personaggio forniva tutta una serie di riscontri abbastanza facili da verificare – o si era in presenza di un ampio e radicato movimento sotterraneo, che attendeva le circostanze propizie per rivelarsi in un modo esplosivo.
Questo ricordo riemerge ora, apprendendo di come Messina Denaro sia stato protetto tanto a lungo e tanto efficacemente dai suoi compaesani.
Si dirà che altra cosa è un movimento politico underground - non però dedito ad attività illegali, e tanto meno violente – ed altra cosa, ben diversa, è la Mafia.
Quanto però accomuna le due situazioni consiste nella pressoché completa ignoranza delle Autorità su come operano effettivamente questi due differenti soggetti.
Mentre le imprese della criminalità non organizzata risultano evidenti – un omicidio, un furto o una rapina sono ampiamente riferiti dai mezzi di comunicazione, ed immediatamente conosciuti dalla Polizia e dalla Magistratura - su come si alimenta la Mafia possiamo dire, come i credenti a proposito della Trascendenza, che sappiamo, ma non conosciamo.
La delinquenza organizzata opera infatti nella società dissimulandosi completamente.
Certamente si arrestano gli spacciatori, ed a volte si sequestrano le partite di droga, ma quasi mai si risale alla organizzazione che rifornisce gli uni e muove le altre.
Se poi ci si sposta nel campo dei movimenti di capitali, se ne può sapere ancora meno.
I figli dei grandi mafiosi, a quanto pare, studiano nelle migliori Università e si inseriscono negli ambienti più esclusivi della finanza internazionale.
La loro distanza dalla pratica criminale diretta risulta dunque sempre maggiore.
Nel Paese di adozione, ci capitò di assistere ad una intervista televisiva con un alto prelato della Colombia, che parlava di Pablo Escobar, capo dei narcotrafficanti ed ufficialmente dato per morto, benché vi sia chi neghi tale ultima circostanza.
Il Monsignore, quando il giornalista gli domandò se Escobar fosse un criminale, rispose testualmente che non era tale nel senso volgare del termine.
Di questa affermazione si possono dare due diverse interpretazioni.
La più ovvia e superficiale consiste nel fatto che questo personaggio non era dedito a praticare direttamente la violenza, non avendo probabilmente mai ucciso nessuno con le sue mani, né mai consegnato personalmente la cocaina ad un consumatore.
Certamente, Escobar elargiva molte elemosine, come fanno tutti i mafiosi: neanche per questo, però, il rappresentante della Chiesa si rifiutava di definirlo tout court come un delinquente.
Il Sacerdote si riferiva piuttosto a come egli fosse alla guida di una sorta di società parallela, dotata delle sue regole, percepita come meno ingiusta – e perfino meno violenta – di quella cosiddetta legale.
Spesso, a proposito delle mafie, si dice che sono altrettanti Stati nello Stato.
Esse hanno infatti un loro popolo ed un loro governo.
Manca però – per integrare la definizione classica fornita dalla dottrina giuridica - il territorio.
Sul quale la sovranità risulta – per così dire – condivisa con lo Stato ufficiale. o meglio con il suo epifenomeno, composto da Tribunali, Commissariati e Caserme dei Carabinieri.
Ci si domanda spesso per quale motivo la Mafia non lo affronti direttamente.
Non sono mancati, in realtà, dei momenti storici in cui ciò è avvenuto.
Tutto il Meridione resistette in armi, dal 1860 fino al 1870, alla conquista piemontese.
La Sicilia insorse nel 1848 contro i Borboni, e poi due volte contro lo Stato italiano: dapprima nel 1867, quando i rivoltosi assunsero il controllo di Palermo, e poi dal 1944 al 1950, allorché la Mafia appoggiò la ribellione guidata dal cosiddetto bandito Giuliano.
Il quale non era un bandito, come non erano stati briganti i fautori del Regno di Napoli nel secolo precedente.
In entrambi i casi, si trattava di insorti: i quali – come tutti quanti agiscono nelle stesse condizioni – operavano logicamente con metodi diversi rispetto agli eserciti regolari.
Negli intervalli tra questi momenti storici, la Onorata Società stabilì un rapporto di tipo parassitario con lo Stato: vedi le trattative Stato – Mafia, e gli episodi come quello del famoso bacio tra Andreotti e Riina.
Che forse non avvenne, almeno in senso fisico, ma – come si suol dire – se non fu falso, fu bene inventato.
Una sola volta ci capitò di conoscere di persona Andreotti: durante un Congresso, ci facemmo coraggio e gli chiedemmo un autografo.
Egli lo concesse, commentando argutamente che ci accontentavamo di poco.
I nostri successivi rapporti furono intrattenuti attraverso i suoi collaboratori più diretti, e riguardavano le relazioni con il Paese di adozione.
Davanti alle segnalazioni di palesi violazioni del Diritto Internazionale, ci fu detto ogni volta che non si doveva comunque mai rompere.
Questa raccomandazione, che sempre comprendemmo ed osservammo, conseguiva dal un calcolo – cinico ma necessario - del rapporto di forze.
Possiamo dunque comprendere i motivi per cui con la Mafia si seguì questo stesso criterio.
Quando Andreotti venne giudicato in sede penale, i Magistrati stabilirono che gli eventuali reati erano caduti in prescrizione.
In realtà, la sentenza significava che non si possono giudicare con il metro del Diritto i comportamenti politici, salvo quando si tratta di chi si riduce a rubare: Andreotti non trattò però mai con la Mafia perseguendo un profitto personale.
Ora, al suo posto, abbiamo la Meloni.
La quale concepisce il rapporto con il Meridione negli stessi termini in cui poteva intenderlo il Generale Cialdini, cioè di una mera repressione.
Se però viene meno la trattativa, che verte inevitabilmente su di una spartizione degli interessi economici, ciò significa che il nuovo Governo presume di poter affrontare una guerra civile con la certezza di avere dietro di sé un seguito compatto.
Quale compattezza gli possono tuttavia garantire quanti non volevano catturare Messina Denaro, o peggio non erano in grado di farlo?
Ignoriamo, non conoscendo direttamente il Meridione, se questa decisione finirà per causare una ribellione aperta, o quanto meno degli episodi di conflittualità diretta, come quando vennero uccisi personaggi quali Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino, e si commisero attentati come quelli di Roma e di Firenze.
Constatiamo comunque, a rischio di risultare banali, che la Meloni ha in comune con Andreotti soltanto la radice romanesca.
Rispetto al Divo Giulio, le manca la statura necessaria per intavolare una trattativa motivata dalla ragion di Stato, e soprattutto condotta mantenendosi in tale ambito.
Può essere – ma si tratta soltanto di una ipotesi – che la Mafia, inducendo il suo presunto capo a costituirsi, abbia voluto mettere alla prova il nuovo potere instaurato a Roma.
Il quale può decidere di scendere a patti, rinegoziando un accordo scaduto con la fine di quello precedente, oppure andare allo scontro.
Da cui però – dato il rapporto di forze - avrebbe tutto da perdere, e nulla da guadagnare.

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Mario Castellano  24/01/2023
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