Mentre i carri armati tedeschi ed americani di ultima generazione accorrono verso il territorio ucraino ...
Fino a quando durò la Prima Repubblica, gli iscritti al Movimento Sociale nella nostra Provincia si contavano sulle dita.
Costoro venivano considerati come degli originali, ed erano quasi tutti di recente origine meridionale, per lo più collocati nei più bassi livelli della Amministrazione Pubblica, come gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria.
Quando si effettuava lo scrutinio delle schede, i pochi voti espressi per la Destra estrema – non più di tre o quattro per ogni Sezione – venivano attribuiti facilmente con nome e cognome.
I candidati al Consiglio Comunale, che dovevano indicare il luogo di nascita, risultavano tutti foresti, come si dice dalle nostre parti: alcuni non erano nemmeno residenti, ed offrivano il proprio nome per completare la lista.
È vero che presso il nostro Liceo – grazie alla complicità dei Presidi e degli insegnanti - si assisteva alle più sguaiate manifestazioni di nostalgiche: negli Anni Cinquanta era invalsa la moda di andare tutti quanti a scuola in camicia nera.
I futuri professionisti rientravano però puntualmente nei ranghi della Destra democristiana una volta inseriti nello establishment.
Le cose cominciarono a cambiare con lo sdoganamento della estrema Destra da parte di Berlusconi: fu allora che questa tendenza politica si diffuse tra la popolazione autoctona, ma la novità era tale che destava meraviglia udire un cognome delle nostre parti associato ad una simile militanza.
In seguito, dovemmo abituarci, pur rilevando che non si trattava di figlio o nipoti dei vecchi gerarchi: i quali avevano già rinnegato la propria appartenenza al Fascismo subito dopo la fine della guerra.
Tra i collaboratori della Meloni figurano La Russa, milanese di adozione ma siciliano di origine, ed il cuneese Crosetto, il quale però si è aggregato alla Presidente del Consiglio dopo avere oscillato tra i Democristiani ed i Liberali, transitando infine per Forza Italia.
Lo estremismo di Destra aveva piuttosto assunto da noi le sembianze della Lega: il cui razzismo si manifestava in origine, non a caso, proprio ai danni dei cosiddetti terroni, ai quali si rimproverava – proprio essendo annidati negli impieghi pubblici – di essere dei parassiti; la stessa idea del lavoro era infatti associata – in base ad un radicato pregiudizio – con la impresa privata.
I Leghisti dovranno però rassegnarsi ad una condizione subalterna nel vasto ambito della coalizione in cui sono inseriti, come pure i berlusconiani: alcuni dei quali – come Brunetta, la Moratti e la Gelmini – si sono non a caso sottratti allo abbraccio mortale dei Fratelli della Meloni; non tanto a causa di una repulsione ideologica, quanto per via di una diffidenza di origine etnica.
Da tutto ciò consegue che il Governo attuale è il primo – a partire dalla stessa Unità nazionale – completamente a trazione meridionale: non tanto per essere presieduto da un personaggio tipicamente romanesco – abbiamo avuto molti grandi uomini di Governo espressi dalla Capitale o dal Sud – quanto perché, se si eccettua il Ventennio fascista, la ispirazione dello Stato unitario risaliva - a prescindere dalla origine regionale dei suoi esponenti - al pensiero liberale, declinato tanto nella sua versione laica quanto in quella cattolica.
La cultura politica della Meloni non è facile da definire, e non aiuta in tale ricerca neanche il suo libro autobiografico.
Se la Presidente del Consiglio non dichiara quale essa sia, é semplicemente perché non ne possiede nessuna.
La Signora si dice comunque cristiana, e non cattolica.
Detto da altri, ciò denoterebbe una tendenza ecumenica: mentre infatti i Cattolici hanno quasi tutti una radice controriformista, gli altri Cristiani ne possono prescindere.
Se però è la Meloni a dichiararsi cristiana, prevalgono verosimilmente in lei certe venature sincretistiche con la religione dei Celti, dovute alla lettura di Tolkien, certe contaminazioni neopagane che la accomunano con alcune correnti – non a caso le più estremiste - del Fascismo.
Il quale – andando alla ricerca di una identità collettiva – la trovò non a caso nella antica Roma precristiana: quanto era venuto in seguito, veniva infatti considerato il frutto di una contaminazione semitica.
Mussolini intendeva addirittura abolire la festività civile del Natale, non potendo tollerare che si commemorasse la nascita di un ebreo.
È vero che la Meloni rivendica la identità italiana, e non quella romana.
Si tratta però di una indicazione tanto vaga ed indistinta che ci si può trovare tutto e il contrario di tutto.
La Signora può dunque mettersi disinvoltamente alla testa della crociata contro la Russia, Paese cristiano per antonomasia, e trova il pretesto – suggerito puntualmente da Padre Fanzaga – di difendere la Prima Roma della intrusione della Seconda e soprattutto della Terza, così da evitare che i Cosacchi abbeverino i loro cavalli nelle fontane di Piazza San Pietro.
La Presidente del Consiglio puó anche andare alla riconquista del Continente Nero - sulle orme di Bottego, Savorgnan de Brazzá, Baldissera e Barattieri - per redimere i suoi abitanti dalla loro barbarie: le Camicie Nere si proponevano a tal fine di allungare lo Stivale fino in Africa Orientale.
In comune tra tali situazioni vi è soltanto un generico delirio di grandezza.
Al tempo del colonialismo, le Legioni portavano con sé qualche contadino disperato in cerca di terra da coltivare.
Oggi ci sono soltanto i brasseurs de affaires che popolano le anticamere dei Ministeri.
Con questo, arriviamo al punto centrale del discorso: quale ceto si colloca dietro la Meloni?
Se dovessimo riassumere il concetto in una sola parola, diremmo che si tratta di un ceto meridionale, ma non meridionalista.
Dal 1860, questa parte del nostro Paese oscilla tra due scelte diverse ed inconciliabili: da un lato, si manifesta il parassitismo nei riguardi dello Stato, incarnato dai poveri disgraziati che venivano al Nord in veste di Agenti di Custodia, e che continuavano a votare per il Movimento Sociale in quanto era proprio il Fascismo che ce li aveva mandati; da un altro lato esiste però un sentimento di rivolta contro la condizione di colonia interna.
Tale secondo atteggiamento non ha espresso soltanto Carmine Crocco e Salvatore Giuliano, ma anche un filone di pensiero democratico, in cui si annoverano Gramsci, Salvemini, Dorso, Di Vittorio, Sturzo e Moro, per citare soltanto i primi nomi che ci vengono in mente.
Tutti questi personaggi si riproponevano non di rinnegare, quanto piuttosto di ripensare - in termini più giusti e non discriminatori - la Unità nazionale.
Che la Meloni intende però nel senso del centralismo più ottuso: per cui ci aspettiamo che faccia peggio dei Savoia e di Mussolini.
Ora questo personaggio è chiamato a guidare il Paese in una guerra: della quale qui non discutiamo le ragioni giuridiche, ma rileviamo come essa metta alla prova – per la terza volta – la coesione dello Stato unitario.
Che finì il fatidico Otto Settembre proprio in quanto la guerra non era stata concepita come causa nazionale, ma come causa di una parte.
La Meloni dirà naturalmente che siamo dei traditori: è stata pero ella stessa, nel suo discorso di Barcellona, a definirci come criminali.
Il nostro crimine consiste soltanto nel dissentire.

Send Comments mail@yourwebsite.com Saturday, April 25, 2020

Mario Castellano  26/01/2023
Copyright ilblogdimario.com
All Rights Reserved