Nel volgere di quarantotto ore, si sono registrati ben quattro discorsi storici: quelli di Biden a Kiev ed a Varsavia, quello di Putin a Mosca e – si parva magnis componere licet - quello delle Meloni, sempre a Kiev.
Al quale la Presidente del Consiglio ha voluto aggiungere una conferenza – stampa, mentre il suo tentativo di incontrare il Presidente degli Stati Uniti è stato – ahimè – frustrato dallo inflessibile cerimoniale della Casa Bianca, provocandole una inutile attesa nel gelo dello aeroporto di Varsavia.
Causa, questa, di una sospetta affezione broncopolmonare, testimoniata dalla forte raucedine.
Di tutti questi eventi, le radio italiane hanno dato risalto soltanto al verbo e alle gesta della ragazza della Garbatella, relegando tutto il resto sullo sfondo, come se i vari Zelensky, Putin e Biden fossero altrettante comparse di Cinecittà.
Dopo Monaco, i giornali di regime scrissero che Mussolini aveva salvato la pace in Europa.
La Meloni, invece, fa la guerrafondaia prima ancora che le ostilità siano iniziate.
Le altre due volte, almeno, abbiamo aspettato qualche mese per cercare di capire chi avrebbe vinto.
Le parole della Presidente del Consiglio, trasmesse dalle radio nel loro originale romanesco, rivelano al contrario la scelta di gettarsi immediatamente nella mischia.
In primo luogo, la Signora afferma che gli Ucraini difendono la loro indipendenza, e noi – insieme con loro – difendiamo la nostra.
Simili gemellaggi ebbero un illustre precedente nel Risorgimento, quando tra Italiani, Magiari e Polacchi ci si scambiavano volontari, intenti a combattere le reciproche guerre patrie.
La Meloni medita invece di spedire in Ucraina – dopo i militari di professione – anche i nuovi coscritti.
La identificazione che ella stessa ha tracciato tra la Patria degli uni e quella degli altri non lascia dubbi circa gli orientamenti del nostro Governo.
Che vede incombere il default, e parte per la guerra come gli asseriti volontari fascisti, i quali scorgevano nel loro magro soldo la agognata possibilità di pagare i debiti.
Mussolini aggredì la Grecia nel nome dello irredentismo ciamuriota, cioè della rivendicazione da parte degli Schipetari di alcuni territori abitati da loro connazionali.
Se in quel tempo soltanto alcuni specialisti di storia balcanica erano edotti della questione, oggi i mezzi di comunicazione hanno viceversa preparato la nostra opinione pubblica allo immancabile Intervento (con la iniziale maiuscola, come nel 1915).
Già pullulano sui mass media tanti piccoli Mussolini, e tanti piccoli Dannunzio.
Il Verbo della popolana romanesca compie però un volo pindarico ben più ardito.
Nella intenzione di esibire una cultura storica in realtà inesistente, dati gli studi molto superficiali presso lo Istituto Alberghiero (il Duce, almeno, aveva il diploma delle Magistrali), la Meloni afferma che anche alla Ucraina venne affibbiata la definizione di espressione geografica, come avvenne per il nostro Paese: prima, naturalmente, che gli Italiani - mediante il Risorgimento - dimostrassero al mondo di essere una Nazione.
Con questo, la Signora ha definito succintamente la propria ideologia, posta a fondamento del regime autoritario che sta alacremente costruendo, basata sulla idealizzazione della Nazione italiana.
Partendo da tale presupposto, la Presidente del Consiglio dovrebbe giungere alla conclusione opposta rispetto a quella cui è pervenuta, e dunque dare ragione a Putin quando afferma che la Ucraina è soltanto una Regione delle Russia.
Se tuttavia si prende per buono il pensiero (?) della Meloni, si perviene ad una considerazione completamente acritica di tutta la vicenda unitaria iniziata nel 1861, facendo un solo minestrone del periodo liberale e di quello fascista: questo è precisamente il punto cui la Signora intende arrivare, cioè la piena riabilitazione del Ventennio.
Noi abbiamo essudato completamente lo antifascismo dei nostri cosiddetti maggiori (come li chiamava Dante), ma altra cosa è la considerazione spassionata del regime di Mussolini, altra cosa è la sua idealizzazione, che lo consegna tel quel al Pantheon delle glorie patrie.
Esiste peraltro il postfascismo, durato settantasette anni, cioè fino a quando la Meloni ha riscattato la vergogna di piazzale Loreto.
Questo periodo, nella sua visione, viene però messo in ombra: come se il tentativo di costruire una democrazia – tentativo generoso e non certo privo di fondamenti culturali, né tanto meno di un sincero moto di popolo – fosse da considerare alla stregua di una parentesi infausta; dopo la quale, grazie alla popolana della Garbatella, é finalmente ripresa la marcia verso le vette.
Che passa per le steppe delle Russie, purtroppo suscitatrici di memorie molto dolorose: da Napoleone fino – appunto – a Mussolini.
Il dopoguerra è però considerato dalla Meloni come il tempo in cui abbiamo dovuto smaltire la eredità di una guerra che ella considera ingiustamente perduta.
Di qui la necessità di una revanche.
Nella quale – dati i suoi presupposti ideologici – metteremo incautamente in gioco (non vi è due senza il tre) la stessa Unità Nazionale.
Che la Signora associa – come già fece Mussolini – alle sorti di una parte politica.
Noi non condividiamo il famoso motto che dice: Beato Priamo, il quale poté vedere la rovina della propria Patria!
Non siamo, cioè, dei cosiddetti disfattisti, e tanto meno neghiamo le ragioni giuridiche della Ucraina.
Semplicemente, però, non ci piace che i nostri soldati vadano a combattere le guerre degli altri.
Né ci piace che i dissidenti vengano considerati alla stregua dei traditori.
Nostro nonno, liberale salveminiano, fu interventista, e durante la Grande Guerra dovette dirigere – essendo stato richiamato – la fabbrica di esplosivi di Cengio, recando un notevole contributo alla Vittoria.
Dopo la quale, però, essendo antifascista e fuoriuscito, venne indicato come un traditore.
Anche Meloni considera tali quanti non la pensano come lei.
Putin, intanto, esalta la alterità della Russia e la sua irriducibile contrapposizione allo Occidente per motivare i suoi, considerando certa la vittoria.
Il Presidente è dunque deciso ad andare fino in fondo.
Anche Stalin si era affidato al patriottismo: dote indubbiamente apprezzabile, purché naturalmente non si faccia fare la guerra agli altri.
Il corollario dello ideale della Terza Roma dovrebbe però consistere nel disegno di mettersi alla testa di tutti i Cristiani.
Il precedente rappresentato da Stalin fu la scelta – peraltro obbligata - di mettersi alla testa degli antifascisti.
Non si capisce invece a chi Putin si rivolga in Occidente.
Tanto più quando dalla parte opposta si invoca una identità italiana che è nello stesso tempo invenzione intellettuale ed imposizione totalitaria.
Un nostro amico, venuto a cercarci fino nello eremo in cui ci siamo rinchiusi (i dissidenti praticano la resilienza, rifugiandosi nella metapolitica), dice che non ve ne è alcun bisogno, in quanto il corrotto Occidente crollerà da solo.
Le guerre si vincono però cercando degli alleati, e neanche la grande Russia può farne a meno.