Nel volgere di quarantotto ore ...
Claudio Bondi, recentemente scomparso, era uomo portato per sua natura al deuteragonismo, ed anzi a quella sua particolare estrinsecazione che consiste nel fungere come da protesi di un personaggio maggiore, incombente sul proprio secondo – come su tutta la pletora dei seguaci - grazie allo sviluppo di un ego smisurato, di un carattere esuberante, di un debordante autoritarismo, ma soprattutto di habitus mentale che induce ad imporre sempre e comunque la propria volontà.
Tutto ciò non si manifesta tanto nello impartire ordini, riferiti a situazioni contingenti, bensì nella elaborazione – e soprattutto nella imposizione - di una strategia, cui ciascun gregario deve recare il proprio apporto, vuoi materiale, vuoi intellettuale.
Poiché però la strategia deve essere sempre corredata dal supporto di una tattica, al tattico tocca sempre fare da vice al Capo.
Senza tuttavia che ciò comporti per il deuteragonista alcuna apparente distinzione, e tanto meno alcun possibile privilegio.
I nostri lettori avranno già capito di chi era secondo il nostro Claudio Bondi: naturalmente, di Enrico Lupi.
Cui Bondi esprimeva una devozione che si sarebbe detta filiale se il rapporto anagrafico non avesse premiato il Numero Due sul Numero Uno, più giovane di alcuni anni.
Nella storica sede di via Matteotti, la temuta epifania del Presidente scatenava ogni volta una sorta di uragano di urla, accompagnate – come avviene nelle orchestre tra i fiati e le percussioni – da battimenti dei pugni sulle scrivanie.
In tali frangenti, Bondi rimaneva impassibile come il Quartermastro del Britannia in mezzo alla tempesta, palesando precisamente uno stile ed una flemma di scuola inglese.
Quanto ai contenuti, il nostro metteva a disposizione della causa del Commercio imperiese una conoscenza minuziosa delle normative vigenti in tale materia.
Da lui abbiamo imparato i segreti della vendita di pollame a busto e della disciplina mercatale, familiarizzandoci con la differente condizione giuridica tra fiere e marcati, nonché su istituti sconosciuti ai non addetti ai lavori, quali ad esempio la spunta.
Quanto dunque in Lupi era furore, in Bondi era ragione, quanto dal primo veniva conquistato con il suo sanguigno sturm und drang, dal secondo era viceversa acquisito usando precipuamente la ragione.
Se il ligure Lupi assomigliava a Garibaldi, il torinese Bondi ricordava Cavour.
Lupi incarnava per i commercianti una sorta di orgoglio del proprio mestiere, risalente alle corporazioni del Medio Evo, recante in sé le passioni e la faziosità delle contese comunali.
Bondi introduceva viceversa nelle contese tutta la finezza del Giure, reso vigente dal sopravvento dello Stato moderno.
Il Presidente era insomma, in questo rapporto di coppia, Don Chisciotte, cui Bondi rispondeva con la pacatezza ed il buon senso di Sancio Pancia.
Anche se, in verità, la pancia contraddistingueva Lupi, e la magrezza era propria di Bondi.
Ora questo loro rapporto è stato interrotto dalla Parca, ed il Presidente si ritrova privo di una protesi raziocinante, di un alter ego capace di moderarlo.
La passione, privata del supporto della ragione, può scatenarsi in modo inconsulto.
È dunque da temere la asprezza dei confronti non più mediati, il cozzo delle opposte irruenze caratteriali.
Privo del senno, rappresentato da Bondi, Lupi potrebbe ritrovarsi come il Re Lear di Shakespeare.
Il quale proclamava: Farò cose terribili!
Poi, però, aggiungeva: Non so che cosa farò.

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Mario Castellano  27/02/2023
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