La pubblicazione, avvenuta nelle scorse settimane, di un libro sui rapporti tra il futuro Cardinale Martini,...
La pubblicazione, avvenuta nelle scorse settimane, di un libro sui rapporti tra il futuro Cardinale Martini – in quel tempo ancora Professore della Gregoriana – e la Comunità di Santo Egidio, fondata da Andrea Riccardi nel clima creativo ed entusiasta  degli anni successivi al Concilio, suscita una riflessione (anche modestamente autobiografica) sul rapporto tra due processi, che rappresentarono altrettante cause in cui cercammo di impegnarci: uno era la costruzione, con il pieno apporto dei Cattolici, della democrazia, un altro la riforma della Chiesa.
Su questo argomento, si sono versati – e si stanno ancora versando – i classici fiumi di inchiostro.
Noi vorremmo, anche per tracciare il bilancio di una esistenza consacrata allo impegno, esprimere un parere personale: che vale, naturalmente, soltanto quale testimonianza, senza alcuna pretesa di tracciare una sintesi storica, inattingibile alle nostre limitate capacità intellettuali.
Prendiamo le mosse da una domanda, quale non consideriamo assolutamente oziosa in base ai motivi che qui cercheremo di esporre: questi due processi dovevano essere considerati convergenti, ovvero destinati a rimanere distinti?
Quanto, in altre parole, avveniva in ambito religioso doveva ritenersi avulso dalla vicenda civile del nostro Paese, o viceversa era destinato ad incidere su di essa?
Il Concilio aveva espresso, nei suoi documenti conclusivi, la piena accettazione - da parte della Chiesa - del principio della laicità dello Stato.
Il settore del Clero, e soprattutto della Gerarchia, che ancora rimaneva fermo al Sillabo di Pio IX persisteva però – e persiste tuttora - nel rifiuto di questa revisione.
Per rendersene conto, basta ascoltare la nostra radio cattolica più diffusa.
Noi siamo sempre stati tra coloro che rifiutavano di esigere dalla Chiesa delle ritrattazioni formali di quanto in precedenza veniva imposto se non come dogma quanto meno come espressione del Magistero, come tale vincolante per i fedeli.
Ogni affermazione, da chiunque provenga, deve essere infatti riferita al suo specifico contesto storico.
Da ciò discende però una conseguenza: tanto meno si possono usare le categorie elaborate nel passato per avversare e per squalificare quanto viene asserito successivamente.
Ora, però, sentiamo ripetere quasi ossessivamente che la Democrazia Cristiana – da noi considerata in passato come un ambito troppo ristretto per la piena e libera espressione delle nostre istanze – era un Partito ampiamente contaminato – citiamo testualmente - dal Modernismo.
Ne discende che è stato un bene la sua sostituzione nel governo del Paese – al termine della lunga fase iniziata con la fine della cosiddetta unità politica dei Cattolici, e proseguita con lo scioglimento del Partito – da parte della estrema Destra.
Nella quale sono confluiti, e non da oggi, tutti quei soggetti tradizionalisti che rifiutavano la accettazione del ricordato principio della laicità dello Stato.
Ne consegue che la Meloni – secondo costoro - è una autentica cattolica, mentre non erano tali personaggi come Dossetti o La Pira, e addirittura lo stesso De Gasperi.
Il quale, proprio aderendo a tale principio, rifiutò di usare il consenso popolare ottenuto dal suo Partito per edificare vuoi uno Stato confessionale, vuoi uno Stato autoritario.
Ne deriva altresì che la attuale contingenza storica viene considerata come una occasione propizia ed irripetibile per realizzare tale obiettivo.
Date queste premesse, ci permettiamo di trarre una prima conclusione: il processo di sviluppo della democrazia in Italia ed il processo di riforma della Chiesa devono coincidere.
Non certo per mescolare la sfera civile con la sfera religiosa, bensì per lo scopo esattamente contrario: se i Cattolici sono lasciati completamente liberi di seguire nella loro azione politica il solo criterio della propria coscienza individuale, tanto maggiore e migliore ne risulta lo apporto alla edificazione di una società più giusta e di uno Stato garante della libertà di tutti.
Qui si innesta il tema dei rapporti tra la Chiesa e la cultura moderna.
Si è detto molte volte che in Occidente la elaborazione del pensiero è avvenuta – secondo alcuni a partire addirittura dal Rinascimento, e secondo altri dallo Illuminismo, al di fuori dello ambito religioso.
Non entriamo nella discussione sulla correttezza di questa affermazione, dal momento che la nostra specialità non è la storia della filosofia.
Ci limitiamo a constatare come il fatto che un certo pensiero venga concepito e sviluppato al di fuori della Chiesa non significa necessariamente che esso sia contrario al Cristianesimo.
È certamente vero che certi regimi – in alcuni casi quelli liberali, ma soprattutto quelli comunisti – hanno limitato la libertà di culto.
Lo stesso Magistero Pontificio – ricordiamo in particolare la Populorum Progressio di Paolo VI – ha tuttavia riconosciuto la funzione storica precisamente progressiva dei movimenti di liberazione, anche se ispirati da ideologie non cristiane.
Questo processo, inoltre, non manifesta più – salvo poche e marginali eccezioni – una tendenza ad osteggiare la religione: né la nostra, né le altre.
La pace civile, sola condizione nel cui ambito può progredire – in Italia come altrove - la democrazia e la giustizia sociale, esige comunque un impegno comune di tutti: credenti, non credenti e diversamente credenti.
Un sistema autoritario pratica viceversa la discriminazione – o la persecuzione – fondata su di un criterio politico o confessionale.
Questo precisamente si prospetta oggi nel nostro Paese: dove un Partito si proclama il portatore esclusivo – o quanto meno il solo assertore autentico – della identità nazionale.
Della quale è naturalmente parte la religione cattolica.
Chi, però, è autorizzato a stabilire che cosa rientra nella sua ortodossia?
Alla domanda chi sia credente, chi sia cristiano, chi sia cattolico, noi abbiamo sempre risposto che lo è chiunque si consideri tale.
Potremo naturalmente sempre rilevare che la concezione di Dio, del Cristianesimo o del Cattolicesimo propria di altra persona diverge dalla nostra, ma chi siamo noi per negarle la qualifica di credente, o di cristiano, o di cattolico?
Il due processi tendenti rispettivamente a riformare la Chiesa ed a costruire la democrazia dovevano dunque necessariamente convergere.
Con il Pontificato di Bergoglio, nella Chiesa hanno finalmente diritto di esprimersi tutte le voci.
Nello Stato, si è invece verificata una regressione, affermandosi la pretesa - propria di un Partito – di stabilire che cosa sia italiano e che cosa non lo sia.
Conquistata una riva del Tevere, questa fazione la attraversa baldanzosamente, appoggiando quanti – agendo da tempo come altrettante Chiese nella Chiesa – pretendono di incarnare in esclusiva il Cattolicesimo.
Gli altri devono soltanto stare zitti.
Altrimenti non li aspetta la prigione, o tanto meno il rogo, ma certamente una limitazione della libertà di espressione.
Non ci pare un bel risultato per chi ha combattuto a beneficio dei diritti di tutti.

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Mario Castellano  11/03/2023
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