Hamza Piccardo,
Hamza Piccardo, Imam della Moschea di Imperia, situata in via Santa Lucia, è uno di quei personaggi che in altri tempi si sarebbero definiti a tutto tondo.
Con tale termine si designano quanti, essendo muniti di una forte personalità, avendo compiuto delle scelte radicali e mantenendosi ad esse coerentemente fedeli, causano in chi le incontra – o comunque le conosce – o una totale identificazione o una altrettanto totale, viscerale repulsione.
I Fascisti adoravano Mussolini, mentre gli Antifascisti lo detestavano: più per motivi caratteriali – o comunque in primo luogo per motivi caratteriali piuttosto che per ragioni politiche.
Quanto più il Duce accentuava la sua oratoria (sempre sapientemente pausata, derivando dalla tradizione scenica del Teatro della Arte), la mimica inconfondibile come tutto il cosiddetto linguaggio del corpo - molto complesso e studiato, tale che ogni dettaglio doveva esprimeva un significato particolare – tanto più i seguaci vi trovavano alimento per la propria adulazione, ed i nemici altrettanto motivo di antipatia e di disprezzo.
Piccardo non può essere posto certamente sullo stesso piano di Mussolini, ma non mancano tra i due personaggi – pur così diversi – i punti di contatto.
Che sono dovuti essenzialmente ad una analogia tra le rispettive situazioni di riferimento.
Mussolini, che aveva conquistato con la sua oratoria le platee socialiste ben prima di distaccarsi da tale parte politica, era un tipico prodotto della civiltà contadina: ove perfino il fiato degli oratori – nel tempo in cui gli impianti di amplificazione dovevano ancora essere inventati – contribuiva a renderli attrattivi.
Il personaggio padroneggiava tutti gli altri ingredienti della tradizionale arte retorica.
Ricordiamo la magniloquenza delle espressioni, la genialità nello impiego della invettiva, e soprattutto la capacità di dosare le pause.
Che conferisce importanza ad ogni affermazione, ma ne permette anche la assimilazione da parte di un uditorio tanto meno acculturato quanto più portato ad infiammarsi.
Nella civiltà mediatica, la oratoria di Mussolini appare decisamente passata di moda: lo prova il fatto che suoi filmati, proposti alle attuali platee giovanili, causano soltanto ilarità.
Sul Duce, vale tuttavia la pena di spendere una ultima notazione: se non fosse stato anticlericale, egli sarebbe divenuto un grande oratore religioso, di quelli che i Parroci si contendevano un tempo a colpi di banconote per predicare la Quaresima.
Escluso che il giovane Mussolini sia venuto a contatto con costoro, la radice comune va ricercata – lo ripetiamo – nella tradizione popolare del teatro italiano.
Ove gli attori davano il meglio di sé nei grandi monologhi, in cui a volte era anche ammessa la divagazione – e dunque lo arricchimento – derivante dal recitare a soggetto.
Il Duce, infatti, non fu mai visto leggere un testo preparato in anticipo.
Piccardo parla ai Musulmani.
Ci è anche capitato di procurargli delle occasioni in cui doveva viceversa trattare DEI Musulmani davanti ad un pubblico composto da infedeli (che erano tali, beninteso, dal suo punto di vista).
Il Nostro se la cavò sempre egregiamente, ma si vedeva che era come un attore fuori ruolo.
Il quale diviene viceversa insuperabile allorché si rivolge ai correligionari.
I quali sono ancora formati nella civiltà contadina.
Se li si ‘vuole trascinare - la convinzione essendo già acquisita quale motivazione della partecipazione al Culto – risulta necessario in primo luogo elogiarli.
Mussolini, infatti, adulava gli Italiani, da lui definiti tante volte Popolo di Eroi che i malcapitati finirono per crederci.
Piccardo, nelle sue argomentazioni, ricorre allo stesso espediente retorico, o meglio persuasivo.
I Credenti che lo ascoltano non sono certo persone tormentate dal dubbio: in questo, il Nostro è favorito dal fatto che i Musulmani considerano addirittura blasfema la stessa idea del Dio cosiddetto nascosto, e non concepiscono alcuna compassione verso chi non riesce a scorgerlo.
Essendo Egli evidente come il Sole a mezzogiorno nel deserto, chi dice di non vederlo è pazzo, o è in mala fede.
Non rimane dunque che esortare i correligionari alla azione.
Il che non significa – beninteso – spronarli a muovere guerra, né tanto meno aizzarli a compiere delle malefatte.
Il ragionamento è tuttavia più o meno il seguente: Dato che noi possediamo la Verità, e Dio ci comanda di diffonderla, muoviamo senza indugio a propagarla ovunque.
Non per brama di guadagno o di gloria individuale, ma semplicemente per adempiere al mandato che Dio stesso ci ha conferito.
Di qui, il più importante corollario, o almeno quello che Piccardo più usualmente ed eloquentemente enunzia nei suoi discorsi: la implicita superiorità morale che contraddistingue i Credenti rispetto agli infedeli.
Non che i Credenti – beninteso - siano considerati perfetti, ché anzi Piccardo li sprona continuamente a sradicare il peccato, ma viene dato per scontato che la Fede costituisce uno strumento infallibile – ed indispensabile - per conquistare la perfezione morale.
Ben più improbabile, è inutile aggiungerlo, per gli infedeli.
Non abbiamo mai udito Piccardo manifestare avversione personale, o risentimento, nei loro riguardi, ma lo abbiamo sempre udito motivare un senso di superiorità.
I Musulmani sono infatti concepiti come Popolo Eletto.
In questo le religioni abramitiche coincidono.
Gli Israeliti lo trovano affermato nella Bibbia, mentre i Cristiani considerano rinnovato con loro il Patto tra Dio e Abramo.
I Musulmani, invece, interpretano questa identità come motivo di un Regere imperio populos.
Per cui sono portati a conquistare, più che a testimoniare.
Qui arriviamo ai motivi della conversione di Piccardo allo Islam, che egli è solito ricordare a tutti gli interlocutori, noi compresi.
Egli racconta di avere contemplato – circa alla metà degli Anni Settanta – lo spettacolo dei Credenti intenti con devozione, e senza eccezione alcuna, alla preghiera nel mezzo del deserto algerino.
In quel momento, erravano tutti e due impegnati – sia pure in modi e collocazioni differenti – per la stessa causa politica.
Ed entrambi – non essendo degli sprovveduti – ci eravamo resi conto di come le varie strategie con cui si tentava di affermarla sarebbero falliti: non era peraltro necessario essere dei geni per capirlo.
Il Compromesso Storico di Berlinguer avrebbe portato alla Selvaggina; il governativismo di Craxi avrebbe portato a Tangentopoli; il movimentismo della Estrema Sinistra sarebbe degenerato in una diversa e tragica criminalizzazione.
La soluzione trovata da Piccardo, cui noi non potevamo aderire in quanto comportava una conversione religiosa, consisteva nel trasferire il confronto sul terreno del conflitto tra il Nord e il Sud del mondo: del quale ultimo lo Islam avrebbe assunto la avanguardia.
In questo modo, la sua strategia poté sopravvivere al passaggio dalla era delle ideologie a quella delle identità, ed anzi addirittura avvantaggiarsi di tale transizione.
Rimane da spiegare perché Piccardo risulti molto simpatico, o molto antipatico a seconda dello interlocutore, ma sempre senza sfumature.
Lo è per motivi che prescindono dal carattere.
Egli dice come stanno le cose, e come si può fare per cambiarle.
Il dire la verità dispiace sempre a molti, ed il proporre dei rimedi radicali spaventa tutti, in quanto rende ineluttabile la prospettiva rivoluzionaria: che un tempo era ritenuta una opzione, e non già un destino ineluttabile.
Piccardo lo ritiene inscritto nelle verità della Fede.
A questo punto, non rimane al nostro Imam che rafforzare in essa i suoi seguaci.
Il suo conseguente implicito senso di superiorità lo rende antipatico a molti.
Egli non ne fa un titolo di vanto, ma ne fa indubbiamente un titolo di orgoglio un titolo di orgoglio.
Dal suo punto di vista, ha ragione.

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Mario Castellano  24/03/2023
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