Una nostra curiosità intellettuale
Una nostra curiosità intellettuale – ma non soltanto intellettuale – riguardava, fin dallo inizio della attuale crisi in Ucraina, il modo in cui la Russia avrebbe risposto al tentativo, intrapreso dagli Occidentali, di destabilizzarla: sia rendendo sterile e prolungato il suo impegno militare; sia operando sul piano economico mediante le sanzioni; sia anche stimolando i diversi movimenti separatisti, radicati nelle profonde diversità etniche e religiose insite in un così vasto Paese.
Quando si era celebrato il referendum per la indipendenza della Catalogna, il telegiornale serale trasmesso da Mosca aveva dedicato a questo evento ben venti dei suoi trenta minuti di durata, e diverse troupes avevano girato in lungo e in largo per il territorio di quella Regione, riprendendo  scene del voto ed interviste.
Non pare però – almeno osservando quanto affiora in superficie – che il Governo di Putin intenda operare in base ad una equazione, più o meno fondata, tra il separatismo ucraino e quelli latenti in Europa Occidentale.
I dirigenti di Kiev hanno saputo indubbiamente giocare con abilità la loro partita, memori degli insuccessi in cui erano incorsi i loro predecessori in occasione delle due Guerre Mondiali e degli eventi successivi: essi hanno saputo infatti inserire – almeno a quanto risulta fino ad ora - la promozione della causa della Indipendenza in un sistema di alleanze che – per motivi naturalmente ben diversi dalla tutela della libertà dei popoli – le ha fornito un supporto efficace.
Non si può dire lo stesso per i loro omologhi occidentali: alcuni dei quali si limitano ad operare nella cosiddetta metapolitica, preservando la rispettiva identità culturale, mentre altri promuovono forme più o meno ampie di autonomia ed altri ancora – come è avvenuto precisamente nel caso dei Catalani – escono allo scoperto nel momento in cui la situazione internazionale meno li favorisce, e di conseguenza vanno incontro ad un disastro.
Quanto avvenuto a Barcellona ricorda – mutatis mutandis – i precedenti, consumati nella altra metà del Vecchio Continente, a Budapest e a Praga.
Dove il rapporto di forze non permetteva alcun mutamento dello status quo deciso a Yalta.
La nostra curiosità è stata in parte soddisfatta udendo la predica quotidiana di Padre Fanzaga, il quale – citando Demattei (Qui se rassemble se assemble) – ha dato notizia di un grande convegno, celebrato a Mosca, dei cosiddetti russofili religiosi.
I quali perseguono il disegno di unificare i Cristiani sotto la Terza Roma, assorbendo o sottomettendo (questo non risulta chiaro), la Chiesa guidata dalla Prima.
Risulta evidente come tale disegno sia sotteso a quello – di ordine geostrategico – tracciato da tempo dagli ideologi del regime di Putin, come Zhirinovsky, Dugin e Limonov, consistente nella creazione della cosiddetta unità euroasiatica.
Questi teorici vedono nella egemonia prima britannica e poi statunitense – e comunque anglosassone – il dominio di quella che essi definiscono, in riferimento al suo fondamento talassocratico, la Isola: alla quale si contrappone il cosiddetto Continente.
Il punto debole della Russia è sempre stato costituito dal non essere una potenza navale, affacciandosi verso Occidente soltanto sul Baltico e sul Mar Nero, entrambi mari chiusi.
Il suo carattere di potenza terrestre si trasformerebbe in un punto di forza qualora precisamente tutto il cosiddetto Continente si opponesse al  dominio esercitato dalla Isola.
Il risvolto religioso di un simile disegno – consistente nella ambizione di unificare i Cristiani – trova alimento nella concezione, elaborata dal pensiero panslavista e panortodosso del Diciannovesimo Secolo, della Russia come Cristo delle Nazioni, incaricata di redimere il mondo occidentale dal peccato e dalla degenerazione morale.
Di qui la giustificazione del confessionalismo: che, essendo praticato dal regime di Putin, gli era valso in anni ancora recenti le simpatie di quello stesso settore tradizionalista cattolico ora dedito a demonizzarlo, addirittura asserendo che il Presidente è rimasto comunista, o quanto meno criptocomunista; ne è prova la sua alleanza con Xi Jin Ping.
Usando lo stesso criterio, si potrebbe dire che Putin è musulmano, in quanto cerca alleati nel mondo islamico.
In realtà, il tentativo torna ad essere quello già concepito dopo la Seconda Guerra Mondiale, e fallito per la rottura della amicizia con la Cina, cioè saldare una alleanza tra i popoli già sottomessi al predominio occidentale.
Di qui deriva la sindrome da assedio che affligge i vari Fanzaga e Demattei, questo ultimo essendo anche saldamente collegato con ambienti americani (peraltro di matrice evangelica), contraddistinti dallo oltranzismo atlantico.
Qui radica però anche il tentativo di contrapporre al confessionalismo ortodosso un confessionalismo cattolico, con il conseguente rinnegamento delle non remote simpatie per Putin.
Probabilmente, si spera che la Chiesa Cattolica, assumendo di nuovo il vecchio ruolo di Cappellano della Alleanza Atlantica, possa ottenere in cambio delle concessioni sul piano dello jus condendum.
Un anticipo è costituito dalla barriera, opposta dalla Meloni, alla adozione di figli da parte delle coppie omosessuali.
Si tratta però, come abbiamo già scritto, di briciole.
Che per giunta dividono il fronte occidentale tra i tradizionalisti ed i neo radicali come la Schlein.
I quali ultimi non sembrano comunque interessare a Putin: che peraltro, dal suo punto di vista strategico, ha ragione.
Mobilitando infatti i cosiddetti Gay, non si fa neanche il solletico alla Meloni.
Ben diverso esito darebbe il far leva sul malcontento sociale.
Questo, però, incrinerebbe la unità dello Occidente.
Nella quale tanto i tradizionalisti come Fanzaga quanto i laicisti come la Schlein finiscono per essere intruppati, riducendo le loro divergenti istanze ideologiche ad innocue note di colore.
Fanzaga non ha letto la lista dei partecipanti italiani al convegno di Mosca: cui egli – ritenendoli scismatici (sono però tali anche i Lefebvriani) - non intende fare pubblicità.
Il radio predicatore cita soltanto la Principessa Alliata, già nota per i suoi rapporti con i Musulmani: anche se la nota aristocratica siciliana non è andata a fare compagnia al nostro Mohammed Bensa nel novero dei convertiti.
Come non erano dei convertiti quei rampolli della stessa nobiltà sicula, diplomati alla Accademia di Pozzuoli, che anni or sono erano andati a Tripoli per formare gli Ufficiali Piloti di Gheddafi.
Unisce però tutti costoro una concezione della Sicilia rivolta ad Oriente: ieri verso il mondo islamico, ed oggi verso la Ortodossia.
In conclusione, Putin non intende verosimilmente sprecare risorse (politiche ed economiche) per alimentare gli identitarismi regionali, e punta tutto – almeno per quanto possiamo capire – su quello religioso.
Le divisioni nella Chiesa Cattolica favoriscono peraltro il suo disegno: lo immancabile Viganò – accomunato con Fanzaga dallo impiego dei mezzi di comunicazione radiotelevisivi – ha inviato ai filorussi riuniti a Mosca una speciale benedizione.
Vincerà la competizione non già il più tradizionalista, ma chi disporrà di più protezioni politiche, e naturalmente di più mezzi economici.
Tempo fa, i Lefebvriani battevano il territorio delle nostre Diocesi in cerca di preti da compare.
Nel senso letterale del termine, proprio come fa il nostro amico Braccioforte alla Asta del Pesce.
Non ci meraviglieremmo se un giorno i Russi facessero la stessa cosa.
Gli emissari di Putin dovranno però sostituire la affascinante Dottoressa Elena Buzhurina con agenti di influenza di sesso maschile.
Per evitare le inevitabili chiacchiere delle beghine.

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Mario Castellano  31/03/2023
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