La Signora Meloni ha annunziato la sua intenzione di avviare la riforma costituzionale, ...
La Signora Meloni ha annunziato la sua intenzione di avviare la riforma costituzionale, che costituisce da un lato il logico e prevedibile sviluppo della vittoria elettorale, e da un altro lato il passaggio essenziale in vista della edificazione del nuovo regime.
Mussolini poté astenersi da ogni emendamento dello Statuto in quanto le sue norme riguardanti la composizione ed il funzionamento degli organi incaricati di esercitare il Potere di Imperio dello Stato erano così generiche da permettere una riforma della Costituzione materiale realizzata mediante Leggi Ordinarie.
Quali furono quelle – dette non a caso fascistissime - emanate al principio del 1925, dopo la crisi causata dal delitto Matteotti ed il famoso discorso del Tre Gennaio, quello del bivacco di manipoli.
La prima annotazione riferita allo annunzio di Palazzo Chigi è di ordine politico: una volta cambiata la Costituzione, la Meloni farà sciogliere le Camere – tanto piú essendo ormai ridotte ad una sola – per dotarsi non soltanto di una maggioranza parlamentare piú ampia, ma anche tale da prescindere dal sostegno dei suoi attuali alleati.
Nel frattempo, già vale per il farneticante Berlusconi – che nel delirio della malattia annunzia una imminente invasione cinese – il riferimento al quarantasette, morto che parla.
Il vero cardine della riforma è però costituito dallo ampliamento dei poteri non già del Governo, inteso quale organo collegiale, bensì del Presidente del Consiglio.
Dalla fine della guerra, prima nello ambito della Costituente, e poi in tutte le successive battaglie politiche, i democratici – non soltanto quelli di Sinistra – hanno costantemente fatto argine ad ogni degenerazione presidenzialista.
Che viceversa veniva regolarmente riproposta ogni qual volta si ordiva da parte della Destra qualche tentativo eversivo: il cui elenco risulterebbe troppo lungo: ricordiamo soltanto – dato il suo valore paradigmatico – il cosiddetto Piano di Rinascita escogitato da Licio Gelli.
Ora la reazione può realizzare i propri intenti senza consumare un colpo di Stato.
Che in senso giuridico si definisce come ogni modifica della Costituzione introdotta senza osservare il procedimento che essa stabilisce a tal fine.
La riforma potrebbe peraltro limitarsi ad una sola norma, vale a dire la inclusione tra le Fonti del Diritto die Decreti del Presidente del Consiglio, strumento escogitato da Conte e poi usato anche da Draghi.
Senza peraltro dare mai luogo ad una impugnazione per illegittimità costituzionale davanti alla Consulta.
La Meloni, quando si intratterrà su questo argomento con la Opposizione, avrà dunque buon gioco a ricordare che se uno strumento è buono quando viene usato dagli altri, non può diventare cattivo soltanto perché lo impiega un diverso Presidente del Consiglio.
Rimane certamente il confronto inevitabile in sede di Referendum Confermativo.
Dove però la Schlein dovrebbe dissociarsi da quanto avvenuto ad opera di un Governo – quello precedente lo attuale - in cui era rappresentato il suo Partito.
Noi annunciamo già il nostro voto contrario, ma essendo rassegnati a perdere.
La Meloni, infatti, potrà invocare il bisogno di stabilità espresso dal Paese, ricorrendo ad un argomento tipico di ogni regime autoritario.
Che promette di fare di piú e di meglio alla condizione di accrescere il proprio autoritarismo, innescando una spirale che conduce a restringere ogni spazio per la opposizione e per il dissenso.
Rimane aperta la questione relativa alle Autonomie Locali.
La riforma proposta da Renzi e redatta dalla Boschi – non certo la piú alta Autorità scientifica in materia di Diritto – prevedeva il cosiddetto taglio lineare delle competenze attribuite alle Regioni, comprese quelle a Statuto Speciale.
Poiché tali attribuzioni, nel caso della Valle di Aosta, del Trentino – Tirolo Meridionale e delle Provincie di Trento e di Bolzano, sono previste e regolate da Trattati Internazionali, saremmo andati incontro ad un contenzioso con Parigi e con Vienna.
Dobbiamo dunque augurarci che la Meloni non tocchi questo Capitolo della Costituzione.
La Borgatara, però, ben difficilmente sfuggirà alla tentazione di mettervi mano.
Ella ha infatti legato le sue sorti personali con quelle del franchista spagnolo Abazcal, il quale rischia di essere a sua volta il socio di maggioranza della coalizione vincente nelle Elezioni Politiche del prossimo autunno.
Ipotecando di conseguenza la Presidenza del Governo, o quanto meno la compilazione del suo programma.
Quello di Vox prevede espressamente la abolizione degli Statuti di Autonomia della Catalogna e del Paese Basco: il che darebbe luogo – anche qualora tale misura venisse approvata dal Parlamento di Madrid – un colpo di Stato.
Questi Statuti possono infatti essere emendati soltanto con il consenso die Parlamenti Regionali.
La Meloni dovrà dunque adottare in Italia qualche misura analoga per qualificarsi come capofila in Europa del centralismo.
Che si basa a sua volta sullo identitarismo nazionalista.
Lo scontro con le Regioni rischia dunque di coinvolgere – oltre alla Spagna – anche il nostro Paese.
Cottarelli ha lasciato il Partito Democratico, e con esso il suo seggio al Senato: in Francia, chi si dimette dal Partito lascia per tradizione anche il proprio Ufficio di Parlamentare.
Complimenti dunque a questo illustre collega Professore di Diritto, che ci ricorda con il suo gesto come un Partito non possa difenderla Democrazia nello Stato se non la pratica al suo interno.
La linea politica della Schlein non è stata decisa dal solo organo avente titolo per farlo, cioè il Congresso.
Che la Signora elvetico – germanico – statunitense non ha peraltro nessuna intenzione di convocare, qualificandosi per il suo autoritarismo come una Meloni di Sinistra (?).
Tra lo originale e la copia, gli elettori potrebbero scegliere lo originale.

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Mario Castellano  9/5/2023
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