Ci è stato richiesto da più parti – da Sinistra con indignazione, da Destra con curiosità divertita – di commentare quanto avvenuto ieri ad Imperia, ...
Ci è stato richiesto da più parti – da Sinistra con indignazione, da Destra con curiosità divertita – di commentare quanto avvenuto ieri ad Imperia, dove – forse per la prima volta, nella storia delle democrazie rappresentative – il Capo di un Partito chiede espressamente agli elettori di scegliere il Partito avverso.
Più precisamente, pare che un alto gerarca democratico (!?) abbia sollecitato il cosiddetto voto disgiunto, e cioè la preferenza per sé stesso ed il suffragio per il Bassotto nella scelta del Sindaco.
Questo episodio si inquadra degnamente nella storia di Imperia: come Pisa è per antonomasia la Cittá della Torre Pendente, e Verona è la Cittá di Giulietta, la nostra è la Cittá della Selvaggina.
Gli eredi di quanti inaugurarono la tradizione del Partito Trasversale – ormai siamo giunti alla terza generazione – hanno superato i nonni ed i padri.
Lungo tutta questa vicenda storica, vi è una costante, che ne costituisce un elemento decisivo, cioè il legame con la politica romana.
Il Partito Trasversale, le cui radici risalgono addirittura ai rapporti di affari instaurati tra i componenti del Comitato di Liberazione, si consolidò quando venne instaurato il rapporto commerciale con Belgrado, cioè intorno al 1965, ma per circa un decennio i suoi componenti lavorarono sottotraccia.
Poi venne il Compromesso Storico di Berlinguer: si ha un bel dire che il Marchese intendeva instaurare una collaborazione tra i Comunisti ed i Cattolici, in funzione del consolidamento delle Istituzioni Repubblicane.
In realtà, un gruppo di Democristiani ed un gruppo di Comunisti locali non soltanto scorsero in questa formula il più autorevole avallo per i loro traffici, bensì addirittura il conferimento ad Imperia della qualifica di avanguardia del nuovo corso politico, e di laboratorio di come il Paese intero avrebbe dovuto essere governato.
La formula consisteva – visto che negli Enti Locali non vigevano le alleanze stabilite a Roma - nel coprire – rimanendo formalmente alla opposizione – ogni possibile malefatta della Maggioranza.
Poiché però non tutta la Democrazia Cristiana era coinvolta nel Partito Trasversale, la Federazione Comunista diramò le opportune direttive per orientare la azione die propri dirigenti: alcuni esponenti della parte avversa non dovevano essere criticati, mentre ad altri non si doveva risparmiare assolutamente nulla.
il solo a non adeguarsi a questa disciplina fu il povero Rum, il quale proprio per questo non fece carriera: si fermo infatti a Genova, mentre altri giunsero fino a Roma, destinati alla Camera o al Comitato Centrale.
Il Partito Comunista si ridusse di conseguenza ad operare negli Enti Locali come una corrente esterna della Democrazia Cristiana.
Non certo in favore della sua componente più progressista.
Basti pensare che Manfredi svolse una intera campagna elettorale asserendo che i Comunisti avevano bruciato una Chiesa di Savona.
Nessun rapporto dei Vigili del Fuoco, né della Polizia Municipale, né dei Carabinieri, né della Questura confermava tale evento, neanche per cause accidentali.
Quanto contava era qualificarsi come anticomunista, mentre si favoriva la penetrazione in Italia precisamente di un regime comunista. 
I Comunisti coinvolti nel Partito Trasversale godevano del sostegno di Sandro Natta: il quale aveva ricevuto in dote la Liguria nella spartizione delle Regioni concordata tra i membri della Direzione Nazionale.
Fin qui la storia del passato.
Ora vediamo le analogie e le differenze con la situazione presente.
Manca – rispetto al passato – un interlocutore straniero, che un tempo era costituito dalle Autorità di Belgrado.
Le quali traevano dal rapporto di affari instaurato con Imperia un triplice vantaggio.
In primo luogo, avendo tanto la Democrazia Cristiana quanto il Partito Comunista Italiano delegato ad Imperia - e non a Trieste, come sarebbe stato logico e conveniente - i rapporti con la Jugoslavia, i Titini ebbero mano libera nelle loro rivendicazioni sul Confine Orientale, con grave danno per gli interessi del nostro Paese.
In secondo luogo il commercio di selvaggina – che assunse tali proporzioni da compromettere irrimediabilmente gli equilibri ecologici della nostra Regione, dove i cinghiali fanno strage delle coltivazioni – arrecò loro enormi guadagni.
Basti considerare che in quel tempo una lepre spellata ed eviscerata veniva venduta, nella migliore polleria di Imperia, per ottomila Lire, mentre lo stesso animale vivo era acquistato da via Fieschi per cento quindicimila Lire: una somma esorbitante.
In terzo luogo, i Comunisti di Tito – agendo in concerto con quelli di Breznev – rafforzavano la fazione interna ai Compagni (?) italiani per rallentare il loro processo di revisione ideologica.
Non a caso, quando questo processo giunse a compimento, tanto Natta quanto Torelli – con tutto il loro seguito – si diedero a sabotare il Partito.
Ora un alto dirigente del Partito Democratico chiede agli elettori – come succedeva allora – di confermare la Destra nel governo del Comune, essendo però eletto in Consiglio: non certo per esercitare la opposizione, quanto per sostenere la parte teoricamente avversa.
Chi svolge la funzione propria in passato dei Comunisti di Tito?
La risposta è molto semplice: chi opera ad Imperia ed in tutta la Provincia attraverso le imprese scelte – guarda caso sempre mediante Trattativa Privata – per compiere le attuali grandiose opere del Regime.
Rimane da indicare chi viceversa protegge da Roma questo groviglio di interessi politici ed economici: allora era la dirigenza Nazionale del Partito Comunista, oggi è il Partito – Governo della Meloni.
Con tanti saluti allo Antifascismo, che costituiva in passato il pretesto ideologico per i traffici le Partito Trasversale.
Gli ex Comunisti di Roma, da parte loro, si dividono tra quanti accettano espressamente la trasformazione della Repubblica in una dittatura, cioè Renzi e Calenda, e quanti – pur dissentendo formalmente sul merito delle riforme istituzionali, le riconoscono come legittime: andando a farsi prendere in giro Palazzo Chigi anziché salire sullo Aventino.
Nel 1924, la Opposizione aveva dimostrato maggiore dignità.
Completato il processo intrapreso dalla Meloni, il cui Partito è ormai il solo che dimostra di avere tanto una strategia quanto gli strumenti per attuarla, la Signora Schlein tornerà oltre il Brennero, lasciandoci nella cacca.
Come in passato – dulcis in fundo – nessuno, nel Partito ex Comunista locale, trova nulla da ridire: Rum non ha lasciato eredi, mentre gli uomini della Selvaggia trovano dei degni continuatori.
Se infatti qualcuno dissentisse dalla pronunzia del Segretario Provinciale, dovrebbe esprimersi negli organi competenti.
Il bello è che neanche vige più il Centralismo Democratico.
Ecco dunque spiegato perché la uscita del gerarcato che chiede voti per Scajola non è stata una gaffe: per riscuotere la mancia competente, bisogna dichiarare pubblicamente le proprie direttive.
Noi siamo stati definiti con lo epiteto di millantatore da un dirigente ex comunista che ora gode del patrocinio del Comune per le sue iniziative.
Ben volentieri ricambiamo dicendo che quelli come lui sono dei venduti.

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Mario Castellano  11/5/2023
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