Non ci eravamo mai fatti alcuna illusione – peraltro sempre perniciosa – sul risultato elettorale di Imperia.
Solamente una massiccia mobilitazione, una insorgenza civile, avrebbe potuto infatti determinare un esito diverso.
I Bassotti, peraltro, incuranti della scaramanzia, avevano già prenotato pranzi e cene presso un noto ristorante.
Abbiamo già scritto che si tratta di una vittoria – come direbbe Mohammed Bensa nel suo gergo sportivo – per forfait.
Con quale faccia potevano chiedere il voto ai cittadini dei dirigenti democratici che nello stesso tempo facevano propaganda per la parte avversa?
Non ci riferiamo soltanto un individuo privo di rispetto verso sé stesso, che avrebbe dovuto indurlo a dimettersi, bensì alla coorte di Commercialisti e di ex gerarchi degli Enti Locali: gli uni dediti ad instaurare rapporti di affari con la parte avversa, gli altri a disimpegnare incarichi elargiti dalla Provincia.
La quale – completando la riforma Renzi – compone ormai un unicum col Comune.
Da cui la denominazione di Sindaco – Presidente assunta dal Primo Cittadino.
Nemmeno ci riferiamo ai dirigenti che fanno corona al doppiogiochista, dai quali non è pervenuta una sola espressione di dissenso rispetto alla sua decisione di appoggiare il Sindaco.
Possiamo dunque soltanto augurare a costui di ricevere una mancia competente.
Possibilmente superiore ai famosi Trenta Denari: sufficienti comunque ad indurre chi li percepì ad impiccarsi per la vergogna.
In quella circostanza, però, gli altri Undici potevano almeno rimproverargli la sua incoerenza.
Nelle attuali circostanze, essi tacciono: evidentemente perché il traditore può dire a ciascuno di loro: Tu quoque.
Abbiamo ricordato che il Bassotto si fa chiamare Sindaco - Presidente.
In realtà, egli può assumere anche il titolo di Proconsole, già appannaggio dei due predecessori espressi dalla sua dinastia.
Ci domandiamo tuttavia per quale motivo Roma senta ancora il bisogno di mandarne uno fino a questa lontana provincia del suo Impero.
Al tempo di Taviani, bisognava contrastare i Comunisti, e tale pretesto venne tenuto in piedi anche al tempo di Berlusconi: malgrado fosse noto a tutti come costoro, irretiti da tempo nel Partito Trasversale, né potessero - né tanto meno volessero - esercitare alcuna opposizione.
Non soltanto negli enti Locali, ma neanche nei riguardi del Governo nazionale.
Tante cose sono cambiate con il Governo Meloni.
In primo luogo, non esiste più un rapporto di familiarità, né un conferimento di poteri da parte di Roma.
La Presidente del Consiglio è stata addirittura tentata dalla possibilità di inserire nella contesa un candidato di disturbo.
Il quale ha perduto questa qualifica, bastando evidentemente la minaccia di usarlo come tale per addivenire ad un tacito accordo: in base al quale il Sindaco non esce dalla sua dimensione provinciale, mentre la Borgatara rispetta il suo feudo.
La vittoria conseguita è però una Vittoria di Pirro.
Di cui possono al massimo esultare i Pallanuotisti, ridotti ormai alla funzione del tipico asino che porta le reliquie.
Non soltanto perché la consorteria dei Bassotti, forte un tempo di cinquemila preferenze nel Capoluogo, ne conta ormai solo duemilatrecento in tutta la Provincia: tante quante hanno permesso al povero Sappa di farsi disastrosamente trombare.
Ai tempi del primo Partito Trasversale, vi era chi dominava i Comunisti, avendoli inseriti nel proprio gioco: più in alto, però, qualcuno tirava le fila da Belgrado.
Incassando, naturalmente, i maggiori guadagni.
Ora il ruolo di burattinaio viene svolto – come abbiamo già scritto – da chi controlla le Imprese appaltatrici.
Siamo dunque – ancor più di allora – sottomessi al potere dei forestieri.
Se quello politico è assunto da Roma, quello economica radica nel cosiddetto Deep South.
Rimane una domanda: a chi dovrebbe opporsi questo sistema di potere?
Il Sindaco è divenuto anche Presidente subito dopo la firma del Trattato del Quirinale.
Che, rinnovandosi la politica die Cannoni a Ventimiglia, può essere tanto denunziato formalmente quanto cadere in desuetudine, per volontà della parte italiana.
Le speranze dei Democratici (non i membri del Partito omonimo, bensì quelli veri) - così come quelle degli Autonomisti - sono affidate a chi si trova dalla altra parte del confine.
Se infatti la Meloni intende rappresentare una asserita identità italiana, il Sindaco – dibattuto tra i diversi potentati che hanno determinato la sua rielezione - non ne rappresenta nessuna.

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Mario Castellano  16/5/2023
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