La Meloni amministra magistralmente la propria immagine, proprio come faceva il Duce.
La Meloni amministra magistralmente la propria immagine, proprio come faceva il Duce.
Di Mussolini, la Presidente del Consiglio non ha mutuato la ideologia, ma certamente ne imita le strategie mediatiche, che le consentono una progressiva ed inesorabile estensione del suo consenso.
Quando i bollettini radiofonici annunziavano la imminente epifania della Presidente del Consiglio nello scenario apocalittico della alluvione - dove certamente farà ritirare le acque, come fece Mosè con quelle del Mar Rosso - costei era già sulla strada del ritorno in Italia.
Il breve lasso di tempo trascorso tra lo annunzio dello arrivo e la materializzazione della sua presenza salvifica – esibendo la uniforme da campagna e gli stivali accosciati – diffonde nel popolo la idea di una miracolosa bilocazione tra i Vertici mondiali ed il fango della Pianura Padana.
Si dice che tale potere fosse posseduto per grazia divina da Padre Pio, alimentandone la venerazione da parte dei fedeli.
Quanto a Bonaccini, dovrà accontentarsi di un ruolo secondario: egli è la spalla, mentre la Meloni è il comico.
Né il Governatore può ragionevolmente aspirare ad un rovesciamento dei ruoli.
Fin qui la partita mediatica.
Ben più importante ad substantiam, come si dice in latino, è quella giuridica.
Nella quale il già (mediocre) calciatore modenese è ugualmente condannato a svolgere il ruolo di deuteragonista.
La sua Regione, i cui gloriosi Liberi Comuni persero la indipendenza fin da quando Giulio II, Papa guerriero, acquisì Bologna ai domini della Chiesa, produce buoni amministratori, ma non esprime uomini politici.
Analogamente a quanto avviene per la Lombardia, annessa ai domini spagnoli fin dalla morte di Francesco II Sforza, ultimo Signore di Milano.
Il Governatore, dopo avere vinto il Congresso, accondiscese a farsi sottrarre la Segreteria dalla Schlein (che non è neanche italiana, mentre il Papa Della Rovere proveniva almeno dalla spiaggia di Albisola), in seguito alla pagliacciata dei gazebo.
Cui, per rispetto di noi stessi, rifiutammo di partecipare, malgrado un amico caritatevole ci offrisse i due Euro di prammatica.
Le comparse di Cinecittà erano ricompensate con cinquecento Lire a giornata, o – in alternativa – con il famoso cestino: ora, invece, occorre pagare per recitare nello spettacolo.
Per svolgere un ruolo in commedia – quello di Presidente – Bonaccini dovette sloggiare la corregionale Cuppi, incaricata di scaldare la sedia.
Ecco spiegato perché i Compagni emiliani si facevano rappresentare a Roma dallo astuto torinese Togliatti.
Quando mandarono dalle nostre parti un loro uomo, forte di parentele altolocate, i Comunisti locali lo snobbarono al punto che il poveretto tentò il suicidio: dopo di che, venne pietosamente allontanato.
Ora Bonaccini è in predicato per la nomina a Commissario per la Alluvione.
Se accetta tale ruolo, dimostra di essere uno sprovveduto.
Il Commissario, infatti, è un organo del Governo nazionale.
Se la Meloni agisse rispettando le prerogative degli Enti Locali, delegherebbe alla Regione le relative competenze.
La logica centralistica la induce a prendere invece la direzione opposta: tra quelle attribuite al Commissario rientrerà anche quanto è già di competenza dello Ente Locale.
Che vedrebbe dunque diminuito, anziché accresciuto, il suo potere.
Qualcosa di simile era già avvenuto – come abbiamo ricordato di recente – con la pandemia, quando il Governo espropriò le Regioni del loro potere legislativo ed amministrativo in materia sanitaria.
Bonaccini si accinge tuttavia ad accettare una apparente promozione, che però – per chi sappia di Diritto – comporta in realtà una diminutio capitis.
Mentre gli amministratori locali vengono attratti irresistibilmente nella sfera della Meloni, la Schlein vaneggia – a beneficio delle telecamere, dei microfoni, ma soprattutto dei taccuini della Stampa Estera - di un Partito votato alla opposizione più radicale e battagliera.
Che ha soltanto il difetto di non esistere, in quanto è privo della base.
La Meloni, intanto, si impossessa della cosiddetta pancia del Paese, e la manipola a suo piacimento.
Precisamente come gli altri democratori, quali Putin ed Erdogan.
Qualcosa di simile sta avvenendo – in piccolo – ad Imperia.
Bracco tuona dicendo che il popolo – composto a suo dire di cretini – si è sbagliato.
Questo affermano tutti i dogmatici ogni qual volta la realtà non coincide con i loro schemi.
Se si affronta la navigazione con una imbarcazione inadeguata, la colpa dello inevitabile naufragio non è del mare, bensì del Comandante.
Il quale non si era neanche assicurato – nella fattispecie – della disciplina del suo equipaggio.
Che si è addirittura ammutinato, votando per il Bassotto.
Come ogni Capitano che porta la nave sugli scogli, lo Ispettore verrà destituito: altri, e non lui, assumerà infatti il ruolo di Capo della Opposizione.
Ed in tanto lo eserciterà in quanto – a dispetto dei toni barricadieri di Bracco – non si tratterà di una vera Opposizione.
Il candidato naturale a tale ruolo è infatti – proprio come il Bassotto ed il Presidente della Corea del Nord– il terzo della sua dinastia.
Sua nonna guidò la operazione che fece assurgere il Partito Trasversale, relegato in origine ai conciliaboli tra cacciatori, al Governo de jure della Cittá: esercitato in base agli interessi di alcuni costruttori che già allora erano divenuti semplicemente amministratori dei loro patrimoni immobiliari.
Il secondo della dinastia perse le elezioni per forfait, ed in seguito – pur essendosi rivelato non in grado di amministrare il Comune – venne chiamato ad altro prestigioso incarico.
Ora il terzo si accinge a fare il Leader della Opposizione di Sua Maestà.
Che in Inghilterra percepisce uno stipendio inferiore soltanto a quello del Primo Ministro.
Bracco, intanto, brandisce le manette, preso da furore giustizialista.
Se il Sindaco è un delinquente, come mai non se ne sono accorti i Compagni cooptati nel suo sottogoverno?

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Mario Castellano  23/5/2023
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