Per due giorni consecutivi, scendendo a piedi per la antica mulattiera che conduce da Borgo di Oneglia fino al ponte sul torrente Impero, ci è capitato di imbatterci in una scrofa di cinghiale, attorniata da ben sei lattonzoli.
Questo incontro ravvicinato non è parso dare particolare molestia agli animali, che anzi si comportano già come semidomestici.
Un tempo, o la scrofa sarebbe partita alla carica temendo per la prole, ovvero tutto il branco sarebbe fuggito a gambe levate.
In paese, i cinghiali – nella buona stagione – si avventurano nei vicoli, o sfilano sotto le finestre affacciate sulla Valle Impero.
La fauna selvatica fa parte integrante della geografia fisica, che a sua volta accompagna la evoluzione di quella cosiddetta politica.
Già Sciascia aveva notato come la linea delle palme, che segna la espansione di questa pianta, tipica dei luoghi caldi, avanzasse lungo la Penisola di circa un chilometro ogni anno, parallelamente con quella delle varie mafie.
I cui esponenti, un tempo spaesati nelle brume del Nord, si sentono sempre più a casa loro.
I razzisti – come certi esponenti della Lega, che nei loro ristoranti pianificavano la pulizia etnica – potrebbero cogliere un parallelo tra il processo di inselvatichimento della natura, con il ritorno di volpi, faine e lupi, dovuto allo spopolamento della montagna, ed il parallelo imbarbarimento dei costumi, indotto a sua volta dalla importazione di mafiosi.
Alcuni dei quali giunsero dalle nostre parti camuffati nella fiumana dei comuni immigrati, mentre altri vi vennero assegnati al Soggiorno Obbligato.
Invano il Dottor Arrigo Molinari, grande investigatore ed autorevole studioso della Criminologia, mise in guardia le Autorità da tale prassi, che equivaleva a mettere la volpe di guardia al pollaio.
Negli stessi anni, le Ditte dedite alla importazione di selvaggina, che costituiva il cosiddetto core business del Partito Trasversale, si dedicavano ad un ripopolamento di massa, comprendente una vasta gamma di specie, dai mammiferi agli uccelli fino agli avannotti.
Quanto al mare, le specie tropicali vi giungevano da sole, passando per Gibilterra, permettendo ad Osvaldo Braccioforte Martini Tiragallo di variare il suo menu di pesce.
Se le famigerate Squadre del Cinghiale, autentiche masnade di valligiani, contraddistinte dalla acerrima rivalità tra i loro diversi borghi di provenienza, trovavano una preda sempre più abbondante, gli agricoltori – che in molti casi erano le stesse persone, dedite alla loro normale attività infrasettimanale – lamentavano danni sempre maggiori alle coltivazioni.
Si determinò così una sorta di spirale infernale: per diminuire il numero dei cinghiali, era necessario cacciarli, ma l’attività venatoria richiedeva a sua volta ulteriori ripopolamenti.
Le feste che scandivano le stagioni erano dunque di due tipi: vi era la cosiddetta liberazione nello ambiente di nuovi esemplari, ripresi regolarmente dalle telecamere mentre, lasciate le gabbie, prendevano a correre per i boschi, e – come contraltare – gli epici banchetti organizzati dai cacciatori con le loro prede.
Questo rituale ancestrale si svolgeva nella Abbazia – allora sconsacrata – di San Nazario e Celso, fino a quando venne finalmente ripristinata la sua destinazione religiosa.
Ad opera – non a caso – di Maria Teresa Verda Scajola: per cui vi fu chi vide in questa mossa un ulteriore episodio della antica contesa con Manfredi.
Le prede venivano anche inseguite fino sulle montagne balcaniche dalla comitiva cattocomunista composta dai loro importatori.
I quali frequentavano anche i grandi vivai siti a Castiglione del Lago, ove avveniva la acclimatazione dei nuovi capi.
Andavano di moda i giri turistici cosiddetti all included, nei cui erano comprese le battute alla selvaggina grossa e la immancabile udienza dal Maresciallo Tito.
Il quale, riconoscente per le entrate procurate al suo Governo dagli illustri e graditi ospiti, non lesinava loro altissime decorazioni: la più ambita delle quali è intitolata ad Alessandro Karagiorgevic.
Di questo personaggio, i soggetti insigniti ignoravano le gesta particolarmente efferate, culminate nello sterminio di tutti quanti i componenti la famiglia rivale degli Obrenovic, che gli contendeva il trono.
Nel massacro, non venne risparmiato nemmeno lo ultimo nato, un bambino di pochi mesi.
Se la caccia è una sublimazione della guerra, ne costituisce anche – in molti casi – la preparazione.
Pare che nel corso dello assedio di Sarajevo una Ditta italiana offrisse la possibilità di sparare dalle colline circostanti sui malcapitati abitanti.
Ciò spiega probabilmente perché la Sinistra (?!) locale rimanesse ostinatamente filoserba: non poteva esservi caccia più grossa.
Quanto alle decorazioni, le loro motivazioni mescolavano meriti commerciali e resistenziali, accreditati dalla storiografia ufficiale.
Ora la nostra popolazione animale risulta altrettanto extracomunitaria quanto quella umana.
La cinghialessa con cui ci incontriamo regolarmente è di origine serba, provenendo più precisamente dallo impervio Massiccio del Durmitor.
Se conoscessimo la sua lingua, ne faremmo uso per raccomandarle di lasciarci in pace.
Purtroppo, possiamo limitarci a dirle: Dobro!
Che pare significhi tanto Stai buono! come anche Va tutto bene!
Va bene, naturalmente, per gli importatori.
Il sistema migliore, per contenere questa invasione di suini selvatici, potrebbe consistere nello scatenare contro di loro la numerosa e agguerrita Comunità Albanese.
Essendo gli Schipetari contrapposti ai Serbi da un odio secolare, possiamo garantire che dei cinghiali non rimarrebbe in breve tempo più traccia.

Send Comments mail@yourwebsite.com Saturday, April 25, 2020

Mario Castellano  24/5/2023
Copyright ilblogdimario.com
All Rights Reserved