Il dato più interessante emerso dal voto degli Stati Uniti...
Il dato più interessante emerso dal voto degli Stati Uniti non è tanto costituito dalla spaccatura tra la parte etnicamente omogenea del Paese e le zone in cui si è già irreversibilmente sviluppata una società multiculturale, quanto piuttosto dal fatto che anche in questi luoghi la popolazione di origine europea ha spostato il proprio consenso in direzione di Trump e del suo motto “L’America agli Americani”.
Forse illudendosi che la realtà in cui vive sia reversibile, o forse per affermare la propria posizione, ritenuta a torto o a ragione privilegiata, nei confronti delle genti di diversa provenienza.
Se la consegna del nuovo Presidente fosse applicata alla lettera, gli Indo americani dovrebbero espellere tutti quanti sono arrivati dopo di loro.
In realtà, Trump intende affermare la posizione della cosiddetta “Etnia Dominante”.
Che non è necessariamente la più numerosa – gli Americani di origine europea gli hanno garantito più voti, ma probabilmente non sono più la maggioranza della popolazione – e neanche quella che può vantare un insediamento più remoto nel tempo.
Gli esempi di questa situazione sono molti, ma il più rilevante – trattandosi di un “work in progress” - è costituito da Israele.
Che per garantire la supremazia numerica degli Israeliti dovrebbe ritirarsi dai cosiddetti “Territori Occupati”, ed invece non solo si espande con le armi – sia pure per motivi di strategia militare – ma soprattutto tende e colonizzare le terre poste sotto il suo controllo.
Se questo dovesse un giorno – come ammoniscono gli studiosi di demografia – far venir meno la superiorità numerica degli Ebrei, qualcuno risponde: “Non è detto che il nostro Stato debba essere necessariamente democratico”.
L’importante essendo il mantenimento della supremazia.
Date queste premesse, è logico che Trump trovi un appoggio – o quanto meno un “idem sentire” – in vari soggetti politici che fondano il proprio potere su quella variante dell’identitarismo rappresentata dal “suprematismo”.
Putin intende restaurare se non l’Impero Sovietico quanto meno quello dei Romanov, riunendo in un solo soggetto politico – ancora da definire sul piano giuridico – tutte le genti che compongono il “Mondo Russo”.
Xi Jin Ping vuole ricongiungere Formosa alla Madrepatria.
Erdogan favoleggia di portare il confine della Turchia fino alla linea che “va da Trieste a Vienna”, raggiunta per breve tempo nel 1683, quando le truppe del Sultano assediarono la Capitale dell’Austria.
L’Iran, a sua volta, tende a riunire sotto la sua egida tutta la Comunità dei Credenti.
Con alcuni di questi disegni, l’America potrà confliggere, anzi – come nel caso della Persia – è inevitabile che si determini un contrasto.
Ciò non di meno, ciascuno dei soggetti che li perseguono potrà giustificarsi invocando il pensiero politico cui Trump dice di ispirarsi.
Contro il quale si possono però invocare due argomenti.
Uno è costituito dall’obbligo – stabilito tanto da molti atti di Diritto Internazionale quanto da altrettante norme degli ordinamenti giuridici interni – di rispettare le prerogative delle minoranze.
L’altro è il Principio di Autodeterminazione.
Putin, in particolare, lo calpesta con la guerra in Ucraina, ma anche nel caso di Formosa esso viene completamente ignorato dalla Cina.
Che non tiene in alcun conto la volontà degli abitanti dell’Isola di mantenersi indipendenti.
Che cosa si annunzia qualora vengano sistematicamente calpestati i diritti delle minoranze, ed i diritti degli Stati?
Si profila un mondo in cui – ancor più di quanto già avviene oggi – sarà in vigore soltanto la legge del più forte.
La sopravvivenza – sia pure su di una porzione del suo territorio – dell’Ucraina indipendente dipenderà soltanto dalle armi.
Di cui però Trump minaccia di privarla.
Lo stesso discorso potrebbe valere per Formosa.
Non però per Israele, in quanto l’interdipendenza tra questo Paese e l’America può far sì – per fortuna - che gli Stati Uniti considerino come propria la causa dello Stato Ebraico.
Israele disporrà nella Casa Bianca di Trump dell’appoggio offerto dal “Primo Genero d’America”, cioè quel Bernard Kouchner che ha già promosso la stipula degli “Accordi di Abramo” ed al quale il suocero delegherà nuovamente la propria politica mediorientale.
Sul piano della politica interna, gli alleati e i simpatizzanti di Trump - “in primis” la Meloni, che ha scommesso tutto, vincendo, sulla sua vittoria elettorale - potranno rafforzare “ad libitum” le proprie tendenze autoritarie nel nome dell’identità nazionale.
Chi in essa non si riconosce, o quanto meno intende continuare a difendere le Autonomie, dovrà prendere atto del fatto che i poteri degli Enti Locali vengono rafforzati nei regimi autenticamente democratici, mentre sono inevitabilmente ridotti dalle autocrazie.
Viene dunque a mancare la prospettiva di una progressiva e concordata attenuazione del potere centrale in favore delle periferie.
Ritorna in auge il nazionalismo italiano, riflesso nel centralismo dello Stato praticato prima dalla Monarchie poi dal Fascismo: rispetto al quale l’applicazione del principio costituzionale della Repubblica che “riconosce e promuove le autonomie locali” aveva segnato a partire dal 1945 una inversione di tendenza.
La Schlein è andata a trovare Draghi, dovendo prendere atto che le proprie amicizie nell’ambiente “radical” dell’estrema Sinistra democratica non costituiscono più un “atout”, su cui la Signora elvetico – germanico – statunitense possa contare in America.
L’ex Presidente del Consiglio ha buoni rapporti con l’ambiente finanziario di Nuova York, che ha reagito alla vittoria di Trump facendo schizzare in alto l’indice di Borsa: l’ultimo discorso pubblico di Kissinger venne pronunziato in suo onore.
Tutto quanto può fare Draghi è però intercedere per una Sinistra italiana distintasi nell’insultare Trump, dando credito ai sondaggi farlocchi che annunziavano la sua sconfitta.
Al di là dei buoni rapporti tra la Meloni ed Elon Musk, quanto favorisce il nostro attuale Governo è però lo “Zeit geist” ideologico, il “mainstream” in cui esso è inserito.
O che – per essere più precisi – ha provocato il suo avvento.
Veltroni, il quale – a differenza di Draghi – non parla inglese, ma vuole “fa’ l’americano” nel modo descritto da Renato Carosone, credeva che Hollywood fosse l’America.
In quanto, come tutti i provinciali, la conosceva soltanto attraverso il cinematografo.
Sotto la guida di “Uolter”, la Sinistra italiana si era data una riverniciatura filostatunitense, dimenticando – e credendo di far dimenticare – gli insulti riversati sugli “Yankees” al tempo del Vietnam.
Fino al punto che il suo Partito di riferimento aveva scimmiottato perfino nel nome i Democratici di Oltre Atlantico.
Saltando a piè pari la Socialdemocrazia.
Non soltanto quella europea.
Se proprio si fosse voluto rinnegare Gramsci, si sarebbero potuti quanto meno rivalutare Turati e Prampolini.
Che fu padre di quel sistema cooperativo dell’Emilia capace di sopravvivere – grazie al suo radicamento – a tutti i Segretari Nazionali.
Compresa la Schlein.
La quale dice di essersi formata a Bologna.
Dove ha frequentato i migliori ristoranti, ma non i cooperatori, e tanto meno gli operai.
Ora tutti gli autonomisti – in particolare nei Paesi occidentali – dovranno attrezzarsi per una nuova “Traversata del Deserto”.
Tenendo conto del fatto che il centralismo esce rafforzato dal risultato americano, ma non rappresenta la vera identità delle diverse popolazioni.
Se dunque diminuisce la possibilità di una azione politica diretta, la metapolitica rimane il terreno su cui operare in vista del futuro.