Giunge da Israele la triste notizia della morte, nella guerra di Gaza, di un pronipote del Professor Elio Toaff...
Giunge da Israele la triste notizia della morte, nella guerra di Gaza, di un pronipote del Professor Elio Toaff, Rabbino Capo della Comunità di Roma e simbolo dell’ebraismo italiano.
Non abbiamo mai avuto la fortuna di conoscere personalmente il Professor Toaff, ma in anni remoti intercorse tra noi un breve scambio epistolare, seguito alla nostra segnalazione degli atteggiamenti antisemiti che si erano manifestati nell’ambiente cattolico confessionalista, restio ad accettare la riconsiderazione della funzione del Popolo di Israele e dei suoi rapporti con il cristianesimo maturata nel Magistero della Chiesa a partire dal Pontificato di Giovanni XXXIII.
Il Professor Toaff si dimostrava particolarmente sensibile nei riguardi di questa tematica essendo stato antifascista da sempre, cioè da molto prima delle sciagurate “Leggi Razziali”.
Il Rabbino capo apparteneva infatti a quella schiera di intellettuali israeliti la cui formazione culturale era maturata nell’ambito della cultura progressista: un ambiente che includeva uomini come Umberto Terracini, Vittorio Foa, Claudio Treves ed i Fratelli Rosselli, per citare soltanto i nomi più noti e importanti.
In Liguria fece spicco la figura – purtroppo non abbastanza considerata – di Ezechiele Sutour Carrara, Rabbino della Comunità di Genova, resistente e dirigente socialista.
Il Professor Toaff amava ricordare come la sua famiglia fosse per l’appunto di radice e di tradizione socialista.
Tanto che gli antenati – essendo proprietari di una miniera di ferro nell’Isola d’Elba – l’avevano regalata ai lavoratori.
La matrice socialista e quella israelitica convivevano nella persona di Elio Toaff senza che egli percepisse alcuna contraddizione.
Quando una volta gli domandarono che cosa si fosse sentito quando i nazisti erano sul punto di ucciderlo durante la strage di Sant’Anna di Stazzema, rispose che si considerava nella stessa misura ebreo e antifascista.
Oggi quelle due qualifiche non sembrano più poter convivere con la stessa armonia che fu propria della vecchia generazione.
Non solo e non tanto perché si manifesta sempre più frequentemente – e sempre più perniciosamente – un atteggiamento antisemita nell’ambito della cosiddetta “Sinistra”, quanto per un’altra, più profonda ragione.
Il filone socialista, ed in genere progressista, è venuto meno quando il mondo – dopo essersi ispirato a lungo alle grandi ideologie che aspiravano ad una sua “reductio ad unum” – si è orientato verso l’identitarismo.
Fiamma Nirenstein ha detto una volta che delle correnti politiche presenti sulla scena internazionale nel corso del Novecento – cioè, il Comunismo, il Fascismo, il Nazismo (cui noi aggiungiamo anche il Liberalismo) - rimane soltanto il Sionismo.
Ci permettiamo di dissentire da questa affermazione: è più corretto constatare come restino in vita tutti i nazionalismi, siano essi di ispirazione etnica, culturale o religiosa.
Ne appaiono, o ne riappaiono anzi continuamente dei nuovi.
Gli Ucraini sono anche chiamati “Piccoli Russi”, per distinguerli da quelli detti “Grandi”, ma la differenza – un tempo ritenuta così sottile da essere generalmente ignorata – si è riacutizzata fino al punto che possiamo constatare.
Nel caso degli Israeliti, pur non venendo meno il legame con i rispettivi ambienti di appartenenza durante la Diaspora – il giovane caduto era anche cittadino italiano – prevale logicamente il sentimento di appartenenza alla loro Nazione.
Rafforzato dall’esistenza di uno Stato, per l’appunto nazionale.
Questa tendenza si connette con il fatto che i vari soggetti di Sinistra non hanno saputo cogliere lo “zeit geist”: per cui da una parte non si sono dimostrati in grado di mettersi alla guida – ed anzi neanche al traino – della tendenza identitaria, e dall’altra non hanno capito le sue conseguenze sugli ambienti diversi dal proprio.
Si sta ripetendo il fenomeno per cui a suo tempo il Marxismo aveva ispirato le lotte di liberazione dei “Popoli Oppressi” – destinatari anch’essi del manifesto di Marx – più che quelle per il riscatto sociale dei “Proletari di tutti i Paesi”: o meglio di tutti i Paesi in cui si era già verificata – al tempo in cui veniva redatto il “Manifesto” – la Rivoluzione Industriale.
Le Rivoluzioni comuniste avvennero di conseguenza tutte al di fuori dell’Occidente.
Oggi sono i soggetti politici identitari, soprattutto quelli di matrice religiosa, che hanno assunto la guida di tanti Paesi extraeuropei.
Anche in Israele, l’egemonia è passata dai Laburisti – che avevano fondato ed ispirato a lungo questo Stato – ai Nazionalisti, ed in particolare ai Nazionalisti religiosi.
Non sappiamo se la parte della famiglia del Professor Toaff insediata nella Terra di Israele appartenga a tale tendenza, ma essa risulta prevalente anche nelle Comunità diasporiche.
Influisce, su questo orientamento, l’errore compiuto dalla Sinistra, tanto più accentuato quanto più essa si qualifica come estrema.
La quale non distingue tra la politica del Governo di Gerusalemme, il Sionismo e l’ebraismo nel suo insieme: fino al punto che ogni manifestazione dedicata al Medio Oriente diviene puntualmente occasione per inaccettabili e odiose manifestazioni di antisemitismo.
Le radici di questo errore – che non esitiamo a definire criminale, in quanto sfocia nel razzismo – non sono però da ricercare nel generico atteggiamento favorevole al Terzo Mondo, che induce a considerare “progressiste” tutte le espressioni ideologiche che vi si manifestano, anche le più aberranti, bensì precisamente nel rifiuto – cosciente ed esplicito - di difendere la propria cultura di appartenenza.
Che è quella definita giudaico – cristiana, avendo come primo fondamento quanto i Cristiani chiamano “Antico Testamento”.
Da una parte, Israele si pone necessariamente – dato il contesto geopolitico, culturale e religioso in cui si trova inserito – in prima linea nella difesa dell’identità giudaico – cristiana; dall’altra parte, tanto più lo si biasima e lo si avversa quanto meno ci si riconosce in essa.
Non deve dunque destare meraviglia – e tanto meno scandalo – se l’ambiente israelitico si sposta dalla sua originale e tradizionale collocazione politica di Sinistra verso opzioni del tutto diverse.
È vero che non mancano nella Destra manifestazioni - anche gravissime - di antisemitismo.
Mentre però esse sono conseguenza di una sorta di “cliché” ideologico, quelle proprie della Sinistra da un lato sfociano nell’aperta avversione verso lo Stato di Israele, mentre dall’altro rivelano una repulsa della propria stessa radice, della propria stessa origine.
Esse risultano dunque tanto più perniciose non tanto per le ricadute sui temi dell’attualità politica - manifestare contro Israele va sempre di moda quale espressione di “progressismo” – quanto perché rivelano una sorta di tendenza suicida, un odio verso l’Occidente giustificato col senso di colpa per il Colonialismo.
Per capirlo, basta leggere i testi della cultura cosiddetta “woke”.
Di cui si alimenta una Sinistra – come quella americana – che non ha nessuna radice marxista.
La Schlein si è formata, vivendo per l’appunto negli Stati Uniti, in questa cultura.
O meglio, in questa sub cultura.
Caratterizzata dal possedere una parte “destruens” – la tendenza a fare piazza pulita della propria identità – e dal non possedere una parte “costruens”.
Se la sua affermazione dovesse dunque produrre un vuoto, sarebbero pronti a riempirlo i Musulmani “radicali”.
La cui cultura include viceversa una parte “construens”.
Quella che si propone l’instaurazione del Califfato.