Due fatti, avvenuti contemporaneamente, hanno dimostrato nel modo più palese l’irrilevanza dell’Europa...
Due fatti, avvenuti contemporaneamente, hanno dimostrato nel modo più palese l’irrilevanza dell’Europa: il mandato di cattura emesso dalla Corte Internazionale di Giustizia contro Netanyahu e l’ultimatum – sarebbe forse però più appropriato definirlo una dichiarazione di guerra – lanciato da Putin contro l’Occidente.
Il Capo del Cremlino si considera autorizzato ad attaccare con i missili ipersonici – e dunque non intercettabili – il territorio di quei Paesi che hanno fornito l’analogo armamento con cui l’Ucraina colpisce la Russia.
Quest’ultimo avvertimento – sempre che sia soltanto tale – viene ignorato non soltanto dai Governi, e soprattutto da quello italiano, ma anche dai commentatori.
I quali lo considerano alla stregua di una mossa propagandistica, di una minaccia volta ad alzare il prezzo da esigere in vista di un negoziato.
Il punto, però, è proprio questo: la trattativa risulta impossibile, e se Trump immagina di poterla svolgere con successo semplicemente sostituendosi a Biden per dispiegare in Politica Internazionale le proprie doti di uomo d’affari, commette un errore.
A prescindere dal fatto che la telefonata con Putin sia avvenuta o meno, il Capo del Cremlino ha detto chiaramente in tutte le sedi ed in tutte le occasioni come non si accontenti di nulla meno della piena realizzazione dei propri disegni strategici.
Che non includono forse l’occupazione di tutta l’Ucraina, ma prevedono certamente la sua trasformazione in uno Stato solo formalmente indipendente, sottratto completamente all’influenza occidentale ed inserito – sull’esempio della Bielorussia - nella sfera di influenza di Mosca.
L’atteggiamento dell’Europa si giustificherebbe soltanto qualora risultasse possibile mettere fine alla guerra con delle concessioni reciproche, come il riconoscimento alla Russia della sovranità sui territori già conquistati.
Cui farebbe però da contrappeso una garanzia riguardante l’inserimento dell’Ucraina – analogamente a quanto avvenuto per la Corea del Sud - nel sistema di alleanze dell’Occidente.
Questo Paese manterrebbe dunque le caratteristiche di uno Stato russo governato secondo principi diversi da quelli vigenti a Mosca, perpetuando la prospettiva di esportare verso Oriente il modello politico occidentale.
L’eliminazione di questo pericolo – e non già l’intenzione di riportare nell’ambito della propria sovranità i “Russofoni” dell’Ucraina Orientale, o la necessità di spostare il confine militare – costituisce però il vero motivo che ha indotto Putin a muovere guerra.
La scelta che l’Europa si ostina ad eludere è dunque tra riconoscere le rivendicazioni della Russia, oppure rassegnarsi ad un ampliamento del conflitto.
Si tratta di una prospettiva cui non siamo preparati, e non vogliamo prepararci.
In quanto ciò comporterebbe l’accettazione di discipline collettive.
Che a loro volta determinerebbero un abbassamento drastico del livello di vita – tornerebbe infatti la vecchia alternativa tra il burro e i cannoni – ma soprattutto una limitazione dei diritti politici, come anche di quelli personali.
La prova generale, celebrata in occasione della cosiddetta “epidemia”, ha rivelato che la gente è disposta ad accettare le simulazioni - specie se degenerano in una sia pur costosa carnevalata - ma non a ritornare ai tempi di carestia e di rigore vissuti dalla vecchia generazione.
I cui componenti sono ormai quasi tutti scomparsi.
Se non si vuole la guerra, occorre dunque rinunziare agli obiettivi strategici che comportano una ulteriore espansione verso Est, dopo quella avvenuta in seguito alla caduta del Muro di Berlino.
Che ha permesso alle due parti dell’Europa di ricongiungersi, ma ha portato anche ad una riaffermazione dell’alterità irriducibile della Russia rispetto all’Occidente.
La parte della comunità intellettuale ed economica collegata con il nostro mondo accademico ed imprenditoriale è già espatriata, ricostituendo quella “Russia Esterna” che avevamo conosciuto tanto sotto l’Impero quanto sotto l’Unione Sovietica.
La vecchia “Dissidenza” – una volta rimpatriata – non si è rivelata capace di costruire una democrazia sul modello occidentale, ripetendo il fallimento consumato dopo la caduta dell’autocrazia dei Romanov.
Che venne sostituita da quella bolscevica, come oggi il nazionalismo panrusso e panortodosso ha soppiantato il Marxismo – Leninismo quale strumento di coesione all’interno e di penetrazione verso l’esterno.
Non mancano infatti, in Occidente, quanti nutrono simpatie verso l’ideologia teocratica dominante al Cremlino.
La cui espansione ad Ovest determinerebbe però l’assimilazione culturale descritta eloquentemente da Dugin: il quale rigetta l’evoluzione del pensiero Occidentale non già a partire dall’Idealismo tedesco dell’Ottocento, né dall’Illuminismo, né dall’Umanesimo rinascimentale, bensì addirittura dall’elaborazione filosofica compiuta da San Tommaso d’Aquino.
IL “Magister Gratiae” essendo considerato il responsabile – a causa della sua conciliazione tra Fede e Ragione – della divaricazione tra il pensiero cristiano occidentale e quello dell’Oriente ortodosso.
L’alternativa alla guerra mondiale, secondo l’avvertimento di Medvedev, è dunque costituita da un lungo periodo di separazione tra la Russia e l’Occidente.
Il quale si troverebbe circondato da soggetti diversi tra loro ma convergenti nell’opposizione al nostro mondo, che includono – insieme con la Russia – tutte le culture e tutti i territori extraeuropei.
Procedere verso Est, nell’intento di provocare una improbabile implosione della Russia simile a quella avvenuta con l’Unione Sovietica, significa dunque procedere nella direzione contraria alla Storia.
La quale ha visto, a partire dal 1914, l’insurrezione ed il distacco dal dominio occidentale di tutta quella parte del mondo che a lungo era stata assoggettata all’Europa.
L’ultimatum di Putin ci costringe in conclusione a scegliere tra un ridimensionamento dell’Occidente ed una guerra mondiale.
Per quanto riguarda Israele, anche qui l’Europa si illude di potersi ancora barcamenare.
Da una parte si accetta la decisione dei Giudici dell’Aia, essendo obbligati al rispetto del Diritto Internazionale, ma dall’altra parte si rigetta la sua ispirazione politica.
Che radica nell’ideologia terzomondista, in base alla quale il Sionismo e l’esistenza dello Stato di Israele non costituiscono un momento del processo di emancipazione dei popoli, bensì un tentativo – compiuto secondo il progetto di Teodoro Herzl, ma in realtà concepito e sostenuto dall’intero Occidente – di contrastare questo processo e di impedirgli di giungere a compimento.
Tra queste opposte letture della Storia contemporanea, simili a due postulati incompatibili, non vi può essere mediazione, ma soltanto qualche tregua provvisoria, qualche rinvio delle scelte, qualche procrastinazione di uno scontro comunque inevitabile.
Se si ammette che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere, essendo la sua costituzione un risultato del Principio di Autodeterminazione, non si può considerare criminale quanto i dirigenti di Gerusalemme decidono in funzione della propria difesa.
Qualora viceversa si accetta il punto di vista proprio dei Musulmani, i quali vedono nella stessa presenza della “Homeland” promessa a suo tempo da Lord Balfour una violazione inaccettabile della sacralità del “Dar al Islam, si finisce per considerare alla stregua di un criminale non solo l’attuale Primo Ministro, ma chiunque - occupando questa carica – decida una qualsiasi azione militare.
Senza dimenticare però che la concezione del “Dar al Islam” – a differenza di quella del cosiddetto “Mondo Russo” - ha un carattere espansivo.
Putin si fermerebbe una volta ricongiunte alla Madrepatria tutte le popolazioni che condividono la sua lingua, la sua cultura e la sua obbedienza religiosa, in quanto l’inclusione di soggetti diversi contaminerebbe la Russia.
L’Islam ritiene invece di avere una missione di conquista e di conversione, dal momento che nella sua visione questi due termini coincidono.
Fermare la guerra in Medio Oriente risulta dunque più difficile che porre fina a quella sul confine orientale dell’Europa.
L’Esecutivo dell’Unione Europea ha cambiato la maggioranza che lo sostiene, mentre il Governo tedesco ha visto dissolversi la propria.
In entrambi i casi, l’impossibilità di una collaborazione politica tra soggetti divergenti nella loro ispirazione e nei loro obiettivi determina non soltanto l’ingovernabilità, ma anche – in prospettiva - il venir meno della possibilità di convivere nell’ambito delle stesse Istituzioni.
Che cosa succederebbe se il contenzioso si trasferisse dalle questioni occasionali, come la nomina di Fitto o la redazione del Bilancio Federale di Previsione, alla scelta tra la Russia e l’Ucraina, o tra l’Islam e gli Israeliti?
Assisteremmo in quel momento alla divisione irrimediabile dell’Europa, e lo scontro tra Stati genererebbe nel nostro Continente una guerra civile, o la somma di tanti conflitti interni quante sono le Nazioni che lo compongono.
L’unica scelta, che accomuna tutti quanti i nostri dirigenti, consiste dunque nel barcamenarsi, nel tirare a campare, nel rinviare le decisioni.