La Chiesa si trova praticamente senza il Papa.
Un tempo, le conseguenze di una simile situazione sarebbero state considerate catastrofiche.
E tali – in alcune contingenze storiche – sarebbero risultate effettivamente.
Pensiamo, tanto per fare un esempio – all’azione umanitaria svolta durante la Seconda Guerra Mondiale da Eugenio Pacelli: il quale, proprio alla vigilia del suo scoppio, venne scelto in quanto la Chiesa aveva bisogno del suo migliore diplomatico.
Il momento più alto – nel corso dell’Età Moderna - della vigenza e dell’efficacia di un sistema di governo centralistico ed assoluto del cattolicesimo fu probabilmente costituito dal Pontificato di Giovanni Paolo II.
Il quale – applicando all’interra Chiesa il modello offerto dal suo Paese di origine – accentuò il rigore disciplinare, tanto tra il Clero quanto tra i fedeli.
Questo causò malumori, peraltro comprensibili, soprattutto nell’America Latina, ma la partita decisiva – come era avvenuto in occasione delle due Guerre Mondiali – si giocava in Europa.
Chi ancora critica retrospettivamente la memoria di quel Pontefice dovrebbe ricordare come fosse pericoloso – ed anche anacronistico – avere i tiratori scelti dell’Esercito Federale Jugoslavo (in realtà le Truppe Speciali della Serbia) ad ottocento metri in linea d’aria dalla piazza Unità d’Italia di Trieste.
Per non parlare dell’Armata Rossa attestata sull’Elba.
Il risultato di quel Pontificato fu l’esercizio del Diritto all’Autodeterminazione da parte di tutte le popolazioni dell’Europa Orientale – non soltanto quelle cattoliche – e la possibilità per il nostro Continente di respirare con due polmoni, ovvero di volare con entrambe le ali.
Non essendo possibile farlo con una sola.
Non a caso, gli unici che rimpiangono la situazione precedente al 1989 sono i dirigenti della Federazione ex Comunista di Imperia, rimasti fermi al tempo della Selvaggina.
Quando si vince una guerra, tutti coloro che vi hanno contribuito con il proprio apporto reclamano giustamente che esso venga loro riconosciuto, e soprattutto non vi è più motivo di mantenere la disciplina per cui questo esito è stato reso possibile.
Il Pontificato di Bergoglio sarà ricordato come un’epoca di apertura di tutti gli spazi di dibattito nella Chiesa.
Inevitabilmente, questo avrebbe finito per mettere in discussione il suo carattere di istituzione verticale.
Assunto progressivamente a partire dall’Editto di Costantino, che trasformò il Vescovo di Roma – munito in precedenza di un potere gerarchico esteso soltanto alla sua Diocesi – nel Capo di tutto il cristianesimo.
Fu allora – non a caso – che si cominciò ad usare per chi ricopriva questa carica il titolo di “Papa”, cioè di Padre universale.
Da allora in avanti – salvo quanto venne prospettato dal Concilio Ecumenico Vaticano II, che però fu presto accantonato a causa della situazione politica mondiale – il potere di Roma venne costantemente accresciuto.
Sotto Bergoglio, abbiamo assistito a due fenomeni, uno limitato al campo disciplinare, l’altro collocato sul piano più propriamente istituzionale.
Dal primo di questi punti di vista, il dibattito in corso nella Chiesa si svolge con assoluta libertà.
Va notato che già in tutto il tempo in cui Ratzinger fu a capo del già Sant’Offizio, pur essendo il Cardinale tedesco l’oggetto delle più forti critiche da parte del settore detto “progressista”, si verificò un solo caso di condanna formale delle tesi sostenute da uno studioso: quello di un Padre Domenicano cingalese dichiaratamente sincretista, cui comunque venne semplicemente vietato di insegnare nelle Facoltà Ecclesiastiche, senza essere neanche sospeso “a Divinis”.
La funzione di questo Dicastero veniva però formalmente mantenuta, consistendo nel vigilare sulla Ortodossia, cioè sulla conformità di ogni posizione espressa con il Magistero.
Ora il nuovo Prefetto svolge il compito che spetta negli Stati di Diritto ai Ministri dell’Interno: i quali devono garantire a tutti la libertà di espressone.
Cioè, l’esatto contrario di farne rispettare le limitazioni.
I “Modernisti” sono pienamente accettati nella Comunità Ecclesiale.
Che in Occidente è ormai così ristretta, dal punto di vista numerico, da fare intravedere un futuro in cui la Religione – in questo ambito geografico e culturale – verrà praticata da piccoli gruppi di credenti.
Destinati a non condividere soltanto l’occasionale incontro domenicale in occasione della Messa, ma quanto meno uno scambio costante di esperienze spirituali e culturali.
La Religione intesa come fenomeno sociale non esiste più, a causa della cosiddetta “secolarizzazione”.
Di cui tentiamo di dare una definizione, dato che se ne parla continuamente.
La secolarizzazione, dal nostro punto di vista, consiste nell’adesione ad una religione determinata soltanto dalle convinzioni soggettive di ciascun individuo: non motivata, cioè da nessuna convenzione sociale, né tanto meno dall’esistenza del cosiddetto “Braccio Secolare”.
Non a caso, i Tradizionalisti coincidono nella maggior parte dei casi con i Confessionalisti.
I quali ultimi continuano a pretendere che il precetto imposto dallo Stato coincida con quello religioso.
Il Parroco di Pontedassio è titolare di ben otto Parrocchie, e riesce a celebrare la Messa – tra il sabato sera e la domenica – in sette soltanto di esse: a Candeasco, la si officia ormai solo in occasione della Festa Patronale.
Più che alla cura delle anime, il malcapitato si dedica ad una versione religiosa dell’automobilismo sportivo.
A noi è capitato di assistere all’arrivo del suo Confratello di Cesio nella frazione di Arzeno, tuttora eretta in Parrocchia.
I fedeli, riuniti sulla piazza della Chiesa, assistevano ammirati e plaudenti allo sfrecciare di un bolide sulla Strada Provinciale: il tifo ricordava quello tributato ad Imola o a Monza alle “Ferrari”.

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Mario Castellano  09/03/2025
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