La differenza tra il riformista ed il rivoluzionario consiste nel fatto...
La differenza tra il riformista ed il rivoluzionario consiste nel fatto che il riformista intende modificare il sistema – tanto dal punto di vista giuridico quanto dal punto di vista sociale – impiegando gli strumenti che il sistema stesso mette a disposizione.
Il rivoluzionario si propone viceversa di cambiare il sistema iniziando precisamente dalla sovversione delle regole che esso stabilisce.
Da questo punto di vista, il Partito Comunista Italiano fu sempre – in realtà – un soggetto riformista.
Avendo contribuito a stabilire le norme che regolano il funzionamento dello Stato, si propose sempre di imporre il loro pieno rispetto.
Queste norme includevano però la possibilità di praticare l’alternanza nella guida del Governo, e tuttavia Berlinguer rifiutò di realizzarla quando la Storia gliene fornì l’occasione.
Il Marchese era indubbiamente un riformista, ma peccò di incoerenza rispetto agli stessi principi in cui dichiarava di credere.
Altre forze si professarono invece rivoluzionarie, quanto meno nelle intenzioni, ed in particolare – in ordine cronologico – i Berlusconiani, i Leghisti ed i “Pentastellati”.
Tutte e tre mancarono però le rispettive occasioni rivoluzionarie.
Il Cavaliere, in particolare, visse un momento in cui poteva – per fatto stesso di non osservare le regole imposte dalla Costituzione in materia di funzionamento degli Organi dello Stato – provocare con ciò stesso la loro modifica di fatto.
Ferrara, già comunista e poi socialista craxiano - che Berlusconi aveva chiamato con sé a Palazzo Chigi formalmente in qualità di Ministro senza Portafoglio ai Rapporti col Parlamento, ma in realtà quale stratega di una modifica della Costituzione materiale - gli suggerì di approfittare di tale opportunità.
Il Presidente del Consiglio non volle ascoltare questa raccomandazione, e decise di mantenersi nell’alveo delle regole stabilite.
Per cui da quel momento iniziò il suo inesorabile, benché lento, processo di stritolamento.
Che lo portò, nella fase finale della sua traiettoria, a sopravvivere a sé stesso.
Craxi, da parte sua, non era mai stato un autentico rivoluzionario, nel senso che noi attribuiamo a questa definizione, quanto piuttosto un sovversivo: il Segretario non si propose infatti mai di stabilire un ordine nuovo e diverso, ma si dedicò ad agire senza rispettare le regole vigenti.
Egli finì dunque – come spesso succede ai sovversivi – per essere giudicato e sanzionato in base alle norme che aveva violato, senza però mai averne postulato il loro cambiamento.
I Leghisti proclamarono la Secessione senza attuarla, e per questo la loro affermazione non venne mai presa sul serio.
Quando Bossi dichiarò che si era costituito un nuovo Stato, la cui sovranità si estendeva da Ascoli Piceno a Trieste e da Grosseto a Ventimiglia, i giornali di tutto il mondo pubblicarono la notizia in prima pagina, con una evidenza che solo i quotidiani degli Stati Uniti avevano attribuito alla Secessione dei Confederati.
La dichiarazione rimase però priva di conseguenze pratiche.
Fino a quando Formentini, eletto Sindaco leghista di Milano, annunziò che il Comune – agendo quale organo della “Padania” – avrebbe iniziato la riscossione dei Tributi dovuti allo Stato italiano.
Specificando che la loro misura sarebbe rimasta invariata, ma i versamenti dovevano essere effettuati in favore di un apposito Ufficio, costituito presso la sua Amministrazione.
Poi, però, il Sindaco si rimangiò tale provvedimento, e la “Secessione” si rivelò una pagliacciata.
Di cui avevano goduto soltanto gli occasionali visitatori di piazza San Marco.
I quali, anziché farsi fotografare mentre davano da mangiare ai piccioni, poterono inserire nel loro album le immagini dell’ammainabandiera del Tricolore e dell’alzabandiera di un vessillo sconosciuto.
La cerimonia si era svolta peraltro senza che i Vigili Urbani, i Carabinieri e gli Agenti di Polizia battessero ciglio.
I “Pentastellati” tentarono più modestamente di interrompere i lavori parlamentari, ma bastò – per frustrare questo patetico tentativo di colpo di Stato – che il corpulento Onorevole Fiano contrastasse con successo i lori spintoni nei corridoi di Montecitorio.
Anche in questo caso, al tentativo rivoluzionario fecero seguito delle pagliacciate quali l’abolizione “per Legge” della Povertà.
Se i seguaci di Grillo avessero fatto lo stesso con qualche malattia, sarebbe stato almeno possibile candidarli o per il Premio Nobel.
Uscendo dai confini dell’Italia, Tsipras fu sul punto di uscire dall’Euro.
Il suo Ministro delle Finanze, il “Centauro” Varoufakis”, pare avesse già fatto stampare le “Nuove Dracme”.
Che rimasero però prive anche di valore numismatico.
Tale moneta sarebbe stata introdotta un lunedì mattina, approfittando della chiusura delle Banche e della Borsa nel fine settimana.
I Greci si risvegliarono però ancora nell’euro.
Il Ministro, coerentemente, si dimise, e il Capo del Governo iniziò una rapida parabola discendente.
Al termine della quale si sarebbe ritrovato provo anche della qualifica di Capo dell’Opposizione.
Pare in realtà che Putin avesse promesso alla Grecia, una volta uscita in pratica dall’Unione Europea, il proprio sostegno, per poi ritirarlo senza dare alcuna spiegazione.
Già Stalin aveva dapprima sobillato i Comunisti di Marcos ad insorgere, ma in seguito li aveva scaricati.
La penetrazione russa in questo Paese è avvenuta lo stesso, essendo affidata alle compere degli “Oligarchi”, ma l’effetto dirompente di una frattura nell’Occidente è naturalmente mancato.
La Meloni si era proposta di provocare anch’ella una rottura nell’Unione Europea, e probabilmente in merito a tale progetto conferì in occasione dei due incontri avuti con Trump, una volta a Mar a Lago quando ancora era Presidente Eletto, e poi a Washington in occasione dell’insediamento.
Se la Presidente del Consiglio avesse dichiarato l’instaurazione del suo Regime, da quel momento avrebbe però potuto contare soltanto sul sostegno economico – non bastando quello politico – del Governo americano.
Il “tycoon” – a differenza di Putin, che si era dapprima impegnato ad appoggiare Tsipras, m poi aveva ritrattato la propria promessa – rifiutò di compiere un passo che lo avrebbe messo in aperta rottura con gli Europei.
Esattamente come il Greco - e come gli altri mancati rivoluzionari nostrani - la Meloni rimarrà per un certo tempo a Palazzo Chigi.
Continuando ad emanare provvedimenti di segno autoritario.
Che però, non potendosi inserire in un quadro organico tale da istituire un “Ordine Nuovo”, rischiano di rimanere velleitari.
La Signora della Garbatella proseguirà peraltro nel collocamento dei suoi “Camerati” in tutti i “Posti d’Oro” disponibili.
Questa falange di burocrati lautamente stipendiati, ma impreparati in misura direttamente proporzionale alle loro paghe, è destinata a rimanere nei Ministeri.
Come tutti quelli reclutati dal Fascismo: i quali però almeno avevano sostenuto un Concorso.
Roma assiste dal 1870 ad una continua stratificazione di ceti burocratici: dopo i Liberali ed i Fascisti, vennero i Democristiani, poi i Socialisti, poi ancora – a partire dal 1975 - i Comunisti.
I penultimi sono stati i “Pentastellati”: la Raggi, a poche ore dal passaggio delle consegne a Gualtieri, stabilizzò quarantanove “Addetti Stampa”.
Soltanto gli addetti a tale servizio bastano a riempire il Palazzo Senatorio.
Alemanno, uomo del popolo, si limitava ad immettere i più scalmanati tra gli ex “missini” nell’ATAC con la qualifica di “Conducenti”.
Dimenticando però che essa richiede il possesso dalla Patente di Guida detta “E Pubblica”: per cui tutti costoro finirono ad affollare gli uffici, in qualità di nullafacenti.
Un conducente privo di autobus essendo come un cavaliere senza il cavallo.
Ora la Meloni riempie Palazzo Chigi ed i Ministeri – il più assatanato tra i reclutatori essendo il “Cognato d’Italia” Lollobrigida”, grande donnaiolo di Subiaco – di Dirigenti.
I quali si dirigono gli uni con gli altri, simili a Generali senza soldati.
Tutti quanti, comunque, vengono assunti per “Chiamata Diretta”.
Per cui – teoricamente – potrebbero anche risultare privi della Licenza Elementare.
Questa autentica Falange rimarrà ad imperitura memoria di una Rivoluzione mancata.
La Meloni, tornata dall’America, ha capito che Trump non poteva sostituire la Banca Europea nell’acquisto dei Buoni del Tesoro.
E che le mancano anche gli spiccioli per pagare le bollette ai “Ceti Disagiati”.
È come se la Marvaldi (che Dio l’abbia in gloria!) non avesse avuto i soldi per comprare mezzo etto di caffè da regalare alle sue elettrici.
Oppure Lauro avesse lasciato i “Lazzari” napoletani con una scarpa spaiata.
Supponiamo che Lenin avesse rinunziato a fare la Rivoluzione di Ottobre, ottenendo in cambio da Kreisky l’assunzione dei Bolscevichi da parte del Governo Provvisorio.
Ci sarebbe stata abbondante materia per molti nuovi “Racconti di Pietroburgo”.
La Russia, inoltre, si sarebbe risparmiata innumerevoli stragi.
I nostri “Fratelli d’Italia” appesantiscono l’apparato burocratico dello Stato italiano, che non sarà in grado – di conseguenza – di esercitare la propria Autorità sulla periferia.
Se il pesce puzza dalla testa, la necrosi si manifesta viceversa partendo dalle estremità.
L’apologo di Menenio Agrippa non serve più per convincere le membra a nutrire ancora lo stomaco.