Si è svolto a Roma l’ennesimo Convegno di Studi dedicato alla figura di Pier Paolo Pasolini, che abbiamo potuto in parte ascoltare su Radio Radicale.
Si è svolto a Roma l’ennesimo Convegno di Studi dedicato alla figura di Pier Paolo Pasolini, che abbiamo potuto in parte ascoltare su Radio Radicale.
La ricerca sulla figura del grande intellettuale friulano è inesauribile.
Non solo in quanto operò in campi molto diversi, ma soprattutto perché oggi più che mai si rivela l’attualità e la visione anticipatrice espressa nella sua opera.
Quel che più stupisce è che gli studiosi – pur agendo con scopi ben più nobili rispetto all’aggiudicazione all’una o all’altra parte politica dell’eredità spirituale di Pasolini – si accapigliano per stabilire se egli fosse “di Destra” o “di Sinistra”.
In realtà, come tutti i grandi uomini, egli superò già in vita i confini tra queste due appartenenze.
Essendo soprattutto cosciente – trattandosi di un uomo radicale nelle sue scelte e nelle sue prese di posizione, ma mai fazioso né intollerante – di come il disastro che riteneva inevitabile avrebbe travolto tutti.

Viene in mente, ripensando alla sua unica intervista televisiva, in cui disse di credere nel progresso, ma di non credere nello sviluppo, e soprattutto – aggiunse – “in questo tipo di sviluppo”, il Leopardi diffidente delle “magnifiche sorti e progressive”.

Ci fu certamente un settore clericale che si dedicò a demonizzare Pasolini, denunciandolo come blasfemo.
Quale in realtà egli fu, in molte delle sue opere cinematografiche, non essendo però certamente motivato dalla volgarità.
Né tantomeno dalla volontà di perseguire una notorietà a buon mercato – o peggio un guadagno materiale – quanto perché Pasolini, volendo animare il dibattito sulle idee, era volutamente provocatorio.

Laddove, come nell’attività di opinionista – che costituisce indubbiamente la parte migliore del suo lascito culturale – non risultava necessario impattare il pubblico, cioè per l’appunto épater les bourgeois, per indurre a una riflessione (sempre che non fosse fuorviato dalla repulsione piccolo-borghese nei riguardi dello scandalo), le idee di Pasolini hanno manifestato col trascorrere del tempo la loro sconvolgente attualità.

Quando si usciva dalla polemica contingente con i censori, mossi tanto da un perbenismo retrogrado quanto da un’insuperabile incapacità di comprensione, le critiche mosse a Pasolini “da Sinistra” rivelavano un ritardo e un’ottusità in fondo ben più gravi di quelle manifestate dalla Destra cattolica.

Se Pasolini si schierò con il Partito Comunista, fu in quanto vedeva in questa aggregazione politica l’unico soggetto in grado – se avesse voluto, e se ne fosse stato capace – di organizzare una resistenza delle masse popolari all’omologazione.
Questa fu la ragione profonda per la quale Pasolini si schierava all’Opposizione.
Si veda, al riguardo, quanto egli scrisse nel famoso articolo detto “delle lucciole”, che costituisce, se non un testamento spirituale, quanto meno un epitaffio per sé stesso.

Dobbiamo però domandarci – a nostro modesto avviso – chi in realtà, al di là delle polemiche contingenti, contrastava le idee di Pasolini.
Se riusciamo a dare una risposta spassionata e corretta a questo fondamentale quesito, ci accorgiamo che il regista di Casarsa non vedeva una sostanziale differenza di responsabilità, tra i diversi soggetti politici, per la tendenza presa dalla società italiana.

Certamente la televisione di Stato – superata però in seguito di molte lunghezze da quella privata, di cui Pasolini non vide la devastazione spirituale indotta nel popolo soltanto perché morì a tempo – aveva svolto un ruolo determinante nel distruggere la cultura popolare italiana.
E con essa la nostra identità.
O meglio: le nostre identità.
Che Pasolini andava inseguendo dove ancora sopravvivevano.
Spostando la sua ambientazione dall’estremo Nord, in cui era nato e dove si era formato intellettualmente (le sue prime prove letterarie furono non a caso in lingua regionale), verso il Meridione.

I personaggi di Pasolini si espressero dapprima in romanesco, poi in napoletano.
Il regista uscì infine dall’ambito italiano, e andò a girare uno dei suoi film nello Yemen.
Non essendo attratto da un esotico commerciale da cartolina, bensì perché la cultura popolare vi sopravviveva.
E con essa un’identità che è rimasta irriducibile all’omologazione.

Se Pasolini fosse ancora vivo, dialogherebbe probabilmente con quegli intellettuali occidentali che sono divenuti musulmani.
Non in quanto condividerebbe la loro conversione religiosa, ma perché vedrebbe nella loro scelta un tentativo di resistere all’omologazione.

Il Partito Comunista – anche se solo in alcuni momenti e su alcuni temi specifici i suoi rappresentanti ufficiali nel campo della cultura polemizzarono apertamente con Pasolini – non comprese tuttavia quali fossero i motivi profondi per cui l’essere il grande regista un suo “compagno di strada” sussumesse in realtà un disaccordo di fondo.
Che non fu mai chiarito.

Il Partito – per dirlo brutalmente – era pienamente disposto ad accettare senza alcuna remora l’omologazione, cioè la perdita di ogni identità, pur di essere cooptato nel sistema di potere che già aveva instaurato questa tendenza.

Ci fu un momento in cui il dissenso tra Pasolini e i comunisti affiorò, e fu quando il regista si schierò dalla parte degli agenti di polizia che si erano scontrati con gli studenti a Valle Giulia.
Non perché gli uni fossero “figli del popolo” e gli altri espressione di una borghesia – quella rappresentata dal cosiddetto “generone” romano – che non era stata neanche in grado di produrre in termini meramente economici, vivendo da parassita ai margini del potere.

Se questa fosse stata la motivazione della scelta di Pasolini, avrebbe avuto ragione chi lo accusava, sia pure opportunisticamente, di essere un demagogo.
Cosa che l’intellettuale friulano non fu assolutamente mai.

Pasolini vedeva negli agenti meridionali dei soggetti che ancora avevano un’identità.
Che avrebbero perduto anch’essi, proprio in quanto nessun soggetto politico si preoccupava di difenderla.

C’è un’altra presa di posizione di Pasolini che rivela la sua consapevolezza: quella relativa alla scelta dei comunisti di difendere – dapprima prevalentemente, e poi esclusivamente – i diritti individuali.

L’uomo arrivò non a caso ad opporsi alla libertà di abortire.
Sacrificando, anzi sussumendo completamente, i diritti sociali e collettivi.
Prendendo le parti degli omosessuali, anziché dei disoccupati, non si sarebbe comunque evitato il disastro.
Quanto meno, però, si sarebbe mantenuto l’unico strumento di cui ancora il popolo disponeva per difendere la propria identità.
Che consiste precisamente nella solidarietà collettiva.

Per capire quanto le ragioni profonde di Pasolini non consistessero in un’epidermica – benché comprensibile – antipatia nei confronti dei borghesi “de Sinistra” (cui l’uomo preferiva giustamente i sottoproletari delle borgate), quanto piuttosto in una corretta individuazione del soggetto antagonista, basta vedere che fine hanno fatto gli studenti di Valle Giulia.
Privi com’erano fin dall’inizio di un’identità culturale – vorremmo dire spirituale – hanno finito per non averne neanche una politica.
La Schlein è la loro rappresentante più appropriata, dato che non si pone nessuna domanda di carattere filosofico, bensì solo quella inerente al colore degli abiti.
Se Pasolini fosse vivo, la segretaria non chiederebbe lumi a lui, preferendogli la “consulente cromatica”.

Un’ultima notazione vorremmo dedicarla al fatto che Pasolini – il quale non era un credente – vedesse nella religione, o meglio nella religiosità popolare, l’unico antidoto all’omologazione destinato a sopravvivere.
Il suo Cristo, cui è dedicato il migliore dei film che ha prodotto, venne liquidato dalla Destra come la rappresentazione di un agitatore politico.
Malgrado Pasolini non avesse scelto nessuna delle pagine del Vangelo che avrebbero potuto supportare una simile visione.
Gesù è viceversa rappresentato precisamente come colui che oppone la sostanza – necessariamente identitaria – della Fede alla sua degenerazione formalistica.

Oggi tanto la cosiddetta “Destra” quanto la cosiddetta “Sinistra” non trovano più una loro base.
L’aggregazione politica, essendo precisamente fondata su un’identità che entrambe hanno contribuito a distruggere.
Rimane il problema di ricostruirla.
Nessuno, per ora, sembra porselo, ma dovrà partire necessariamente da qui la ricostruzione di un equilibrio che si è perduto.

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Mario Castellano  05/08/2025
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