Da qualche tempo, i mezzi di comunicazione ufficiosi del nostro Paese si dedicano a propagandare il pauperismo, che in epoca fascista veniva pomposamente definito con il termine di “autarchia”....
Da qualche tempo, i mezzi di comunicazione ufficiosi del nostro Paese si dedicano a propagandare il pauperismo, che in epoca fascista veniva pomposamente definito con il termine di “autarchia”.
Alcuni imprenditori furbastri trovarono il modo di arricchirsi, per giunta a spese dello Stato,
ogni prodotto e ogni manufatto avendo trovato in breve tempo il proprio surrogato “autarchico”.
Se il caffè veniva sostituito dal carcadè e da ogni sorta di bacche e grani tostati,
le recinzioni in metallo venivano rimpiazzate con manufatti in cemento, nel cui interno si celava un filo di ferro.
Presso le stazioni ferroviarie se ne possono trovare ancora oggi molti esempi.
Il prezzo di vendita, naturalmente, non diminuiva, moltiplicando così i guadagni di alcuni soggetti, i quali, oltre a evitare di essere considerati degli imbroglioni, si facevano passare per “patrioti”.
Ora il Corriere della Sera, nato come organo ufficioso della Destra Storica quando nel 1876 venne mandata all’opposizione dalla Sinistra (anch’essa “storica”), dissuade i lettori dal trascorrere le vacanze sulla Riviera romagnola, dove da tempo una misteriosa puzza ammorba tutto l’ambiente.
Poiché non si conosce l’origine del fenomeno, rimane il sospetto che non sia soltanto fastidioso, bensì foriero di un avvelenamento di massa, essendo naturalmente impossibile evitare di inalarlo, pur turandosi il naso.
Molti anni or sono, un turista britannico scrisse una lettera indignata al Times, lamentando che la cucina da quelle parti risultava deplorevole.
Immediatamente, i fieri romagnoli organizzarono una spedizione a Londra, coronata da un ricevimento in cui le più insigni personalità d’Oltremanica vennero invitate a degustare le loro specialità.
I media italiani sostennero naturalmente l’iniziativa, sentendosi tutti i nostri compatrioti rappresentati dai cittadini della regione diffamata.
Ora, invece, il sindaco di Cervia, anziché rassicurare i potenziali turisti sminuendo gli effetti del cattivo odore, dichiara all’intervistatore che esso esiste effettivamente,
e che la scienza brancola nel buio, per cui non c’è verso di farlo cessare.
Il telegiornale del primo canale replica in modo asimmetrico al quotidiano milanese, descrivendo le vacanze in Romagna di alcuni nababbi, i quali, pur potendosi permettere i migliori alberghi, non possono evitare la puzza.
Che costoro hanno comunque proverbialmente “sotto il naso”, ma in senso figurato.
Il sindaco di Diano Marina – forse ispirato dal parroco, seguace di don Giussani – vieta alle donne il bikini, che era già proibito da tempo immemorabile mediante apposita ordinanza della Giunta.
Questa furia moralizzatrice servirà soltanto ad allontanare le ultime vacanziere.
Perché tanto accanimento contro un settore che sconta già la peggiore annata del dopoguerra?
Probabilmente, questa propaganda – simile all’incitamento a segnare un’autorete – si deve alla necessità di calmare la comprensibile rabbia di chi deve rinunciare alle vacanze sul mare.
Ai tempi del Fascio, dopo le “inique sanzioni”, i luminari della medicina spiegavano che il caffè faceva male – come anche la carne e tutti gli altri alimenti cui si doveva rinunciare.
Per lo stesso motivo si minacciano oggi i superstiti turisti di morire asfissiati.
La differenza consiste in questo: mentre gli italiani del 1935 venivano moralmente ripagati delle loro rinunce ricevendo una ideale medaglia di patrioti,
ora non si può dire agli sventurati rimasti in città che evitando di andare a Rimini si aiuta il governo Meloni, anche perché molti tra di loro lo vedrebbero cadere volentieri.
Esiste, naturalmente, una terza via.
Chi non va in vacanza può trovare conforto nei beni spirituali.
Questo sarebbe l’autentico e benefico pauperismo, che indurrebbe le persone a non considerarsi riuscite o fallite a seconda della loro disponibilità di beni materiali.
Restare a casa può offrire l’occasione per coltivare la ricerca interiore, oltre che per apprezzare quanto di buono si trova in ogni angolo del Bel Paese.
Se inoltre vi è un luogo in cui la vacanza risulta massificata e massificante, questo è precisamente la Riviera adriatica, dove l’“industria” del turismo manifesta il suo vero significato di termine antitetico all’artigianato, i visitatori essendo trattati inevitabilmente come mandrie di bestiame.
Non ce ne vogliano gli amici romagnoli, ma chiunque – posto nelle loro condizioni – sarebbe costretto ad agire nello stesso modo, come avveniva qualche anno fa anche a Diano Marina.
Per distogliere gli italiani dai lussi che non si possono più permettere, occorrerebbe un minimo di prestigio, che manca completamente alla nostra classe dirigente.
Ancor più servirebbe la capacità di guidare la società e la nazione verso mete condivise e credibili.
L’unico momento in cui lo Stato italiano ci riuscì fu la Grande Guerra, che la gente sentì come una causa giusta e comune, non tanto riconoscendosi nella Casa Reale, quanto piuttosto nei combattenti.
Se oggi esistesse un’autentica causa nazionale, il ministro Urso consiglierebbe a sua moglie di fare la fila all’imbarco come tutti gli altri.
Qualora invece i “motivi di sicurezza” addotti per fare i furbi fossero autentici, la signora rimarrebbe a casa.
Chi – come purtroppo succede anche a noi, ormai da tempo – si trova sotto protezione, sa che la prima regola di ingaggio consiste nell’evitare gli spostamenti non assolutamente necessari,
quali sono per l’appunto i viaggi turistici.
Sull’altro versante, la sindaca di sinistra di Genova dice che non casca il mondo se l’Ilva di Sestri chiude.
Ci fu un tempo in cui, quando una fabbrica minacciava di cessare l’attività, il primo cittadino si metteva alla testa del corteo di protesta, con tanto di gonfalone e fascia tricolore,
spalleggiato regolarmente dai colleghi dei comuni viciniori.
Ora la Salis fa l’esatto contrario.
Quanto alla Schlein, prende parte soltanto ai cortei degli omosessuali.
La Salis ha svolto il suo apprendistato di amministratore pubblico nel Comitato Olimpico.
È come se un ordine di suore mandasse le novizie a prepararsi per i voti solenni in un postribolo.
Non uno dei dipendenti dell’ente del “Foro Mussolini” – a cominciare da chi ostenta la qualifica di “dirigente” – ha sostenuto un concorso pubblico.
Ben poche federazioni presentano il bilancio di previsione, e tanto meno il bilancio consuntivo.
Se un sindaco si comportasse in questo modo, risponderebbe di “omissione di atti d’ufficio”.
Speriamo che il segretario comunale avverta la signora Salis che a Palazzo Tursi vigono regole diverse.
Quanto alla giunta di sinistra di Milano, pur valendo per i suoi componenti la presunzione di innocenza, ci pare che costoro si ispirino a Ligresti,
il quale fu a suo tempo il vero sindaco, mentre governava formalmente – anche allora – la sinistra,
come pure ai tempi di Tangentopoli.
Se Sala è di sinistra, noi siamo l’imperatore del Giappone.
Ci sono naturalmente ottimi esempi di sindaci con radici conservatrici, la cui cultura politica era indubbiamente e dichiaratamente di destra, ma in questi casi l’incontro con la coalizione progressista che li sosteneva avveniva su due basi:
una era costituita dalla buona amministrazione, l’altra da un’idea della città.
Fu così – tanto per fare un esempio – quando a Genova venne eletto il sindaco Sansa.
Lo stesso Pericu era peraltro un socialdemocratico di destra.
A Milano, l’unica idea che guidava l’amministrazione era costituita dalla ricerca ad ogni costo del profitto privato.
A Imperia, l’ex Partito Comunista fece pressione a suo tempo sulla Colussi affinché la fabbrica Agnesi chiudesse immediatamente, e non sei mesi dopo, come deciso dal bieco “padrone”,
il quale si preoccupava di far avere ancora per qualche tempo un pezzo di pane agli operai,
e di far raggiungere ad alcuni di essi il minimo per la pensione.
I dirigenti comunisti (!?) avevano invece fretta di edificare qualche “residence”, senza neanche poter contare su nessun soggetto interessato.
Non si cambia la società senza una motivazione morale, mancando la quale decade anche il livello della vicenda civile.
Se certe persone si fossero interessate di più ai problemi dei lavoratori, e meno all’importazione di selvaggina, oggi non avremmo né la Meloni, né il Bassotto.
In queste condizioni, senza un barlume di motivazione nella solidarietà sociale, affrontiamo l’equivalente economico di una guerra, che può portare dunque soltanto a una ulteriore disgregazione.