Il Presidente Lupi, quando non si dedica a fare il verso agli animali selvatici, riesce ancora a dire delle cose sensate.
Il Presidente Lupi, quando non si dedica a fare il verso agli animali selvatici, riesce ancora a dire delle cose sensate.
Nel corso della presentazione, ambientata – ça va sans dire – in un frantoio, dell’iniziativa denominata “Riviera dei Sapori”, l’uomo ha pronunciato per ben due volte la parola “identità”.
L’estensore dei suoi discorsi – sul quale aleggia un impenetrabile mistero – ha fatto riferimento per due volte a tale concetto, la cui iterazione esclude un lapsus calami.
Citiamo testualmente, come si fa nel corso delle Omelie per le Sacre Scritture:
“Le eccellenze agroalimentari (…) costituiscono patrimonio culturale e IDENTITARIO della Riviera dei Fiori”.
Ancora più esplicito risulta il bon mot posto a conclusione del discorso – di cui curiosamente il resoconto giornalistico tace se sia stato coronato da una ovazione del pubblico presente:
“Abbiamo il dovere di valorizzare immobili storici e aziende locali che raccontano la nostra IDENTITÀ.”
A questo punto, ci si sarebbe atteso un applauso scrosciante.
O è mancato, oppure è stato tenuto nascosto dal solerte cronista che ci ha informati dell’evento.
I deputati democristiani avevano l’abitudine di pubblicare, in forma di opuscolo, i loro discorsi parlamentari per far sapere agli elettori che non avevano oziato nell’Urbe.
L’unica eccezione era costituita dall’onorevole Ambrogio Viale, il quale, tacendo ostinatamente – al punto da essere soprannominato “l’onorevole Muto” – riuscì a risparmiare anche questa spesa.
Il testo concludeva immancabilmente con un breve corsivo, che diceva: “Applausi al Centro”.
Lupi, uomo notoriamente avaro, evita – pur pronunciandoli – di pubblicare i suoi discorsi, benché possa addebitarne la stampa alla Unioncamere.
A diffondere il Verbo del quattordici volte Presidente ci pensano i giornalisti.
I tedeschi, avendo eletto un presidente federale – tale Gustav Heinemann – che aveva due lauree, lo chiamavano “Doctor Doctor Heinemann”.
Se Lupi fosse in Germania, i connazionali dovrebbero ripetere per ben quattordici volte “Präsident” Lupi.
Perché il Nostro si è riferito per due volte all’identità?
Viene il sospetto malizioso che l’estensore del discorso ci abbia scopiazzato.
Se così non è, la sua mancanza di cautela sfiora la temerità.
Parlare di identità davanti a un parterre des rois in cui figuravano ben due “Bassotti” – lo Zio e il Nipote, un leghista e un altro soggetto destrorso, tale Lombardi, di cui ignoriamo la corretta classificazione zoologica – è come inneggiare alla Rivoluzione alla Corte di Nicola II.
Lupi può sperare soltanto, dopo questo atto di ostentata disobbedienza, nell’inconsapevolezza dell’uditorio.
Se fosse stato composto soltanto da Piana, non dovrebbe preoccuparsi.
Costui, essendo un analfabeta funzionale, deve farsi tradurre tutto quanto viene proferito in sua presenza.
Una volta, ci invitò a parlare della società multiculturale.
Dopo che l’avevamo descritta come ineluttabile, venne perfino a congratularsi.
Il pubblico, essendo composto da soggetti centralisti, non si è verosimilmente accorto di come l’esaltazione delle peculiarità culturali – sia pure limitandosi alla materia apparentemente innocua dell’enogastronomia – manifesti un atteggiamento di opposizione al potere.
Lupi, però, una volta preso coraggio – la sua intraprendenza è tanto proverbiale nei rapporti con il gentil sesso quanto carente nell’espressione politica – si è spinto a enunciare un programma autenticamente rivoluzionario, i cui capisaldi sono costituiti dal progressivo abbandono del turismo costiero – l’uomo, evidentemente, ha contemplato il cimitero cui sono ridotte le nostre spiagge – in favore di quello montano, nonché dal ripudio del turismo estivo in favore di quello invernale.
Anche la cosiddetta “cattiva stagione” ha le proprie specialità e “eccellenze”.
Il Presidente postula dunque un progressivo abbandono dei centri urbani e un ritorno alle radici ancestrali.
Egli stesso, peraltro, non ha mai reciso il cordone ombelicale che lo lega a Dolcedo, dove propiziò a suo tempo una visita dei pittori russi ospitati nel convento di Taggia.
Noi fummo testimoni di questa storica decisione, avendo accompagnato in Camera di Commercio l’avvenente dottoressa Buzhurina.
La quale, debitamente informata del penchant di Lupi per le donne – evidentemente, questo aspetto della personalità del Presidente non è sfuggito agli occhiuti Servizi Segreti del Cremlino – esibì in modo convincente le proprie grazie.
Senza, a dire il vero, che si andasse oltre una piena accettazione delle sue richieste, consistenti nella celebrazione di una grande festa di commiato nel chiostro dei Domenicani, comprensiva di cibi e bevande cucinati dai valorosi giovani della Scuola Alberghiera di Arma.
Ora però, l’azione volta ad associare tutti quanti – ritornando all’agricoltura – incrementano le produzioni tipiche del nostro hinterland per proporle ai turisti, significa dare per scontata – se non assecondarla – la tendenza a una fuga dalle città, causata dalla imminente crisi sociale.
In prospettiva, si profila un altro fenomeno: se è vero che il recupero delle varie identità rimane per ora confinato nei fenomeni metapolitici, esso assumerà, in un futuro neanche tanto lontano, la forma di una cariocinesi dello Stato.
Questo è il motivo per cui la strada intrapresa da Lupi e quella seguita dai suoi occasionali interlocutori sono destinate a divergere.
Qualche rivendicazione – come quella riguardante il ripristino della viabilità interna, tanto veicolare quanto pedonale – potrà anche essere accolta; alla fine, però, le zone culturalmente omogenee si distaccheranno comunque dal centralismo, sia esso meloniano, leghista o “bassotto”.
Noi attendiamo Lupi a questo appuntamento storico, che il Presidente – con la sagacia tipica di chi è avvezzo alla mercatura – ha saputo intravedere.
Vano risulta dunque il tentativo di mediazione con Scajola, intrapreso, come al solito, dal volenteroso Osvaldo “Braccioforte” Martini Tiragallo.
Il quale ci ricorda, più che Henry Kissinger, quei paceri di paese che finiscono per prendere delle legnate da entrambi i contendenti.