L’Italia, in base a quanto stipulato dalla Von der Leyen con Trump...
L’Italia, in base a quanto stipulato dalla Von der Leyen con Trump, dovrà pagare agli Stati Uniti una cifra annuale che, secondo i calcoli più attendibili, viene stimata in sessanta miliardi di euro.
Qualcuno dice settanta, mentre i più ottimisti ne calcolano soltanto trenta.
Che comunque non abbiamo.
Tutto questo denaro costituirà il corrispettivo delle materie prime energetiche e delle forniture di armi che ci siamo impegnati ad acquistare dall’America, naturalmente insieme con tutti gli altri Stati dell’Unione Europea.
La Von der Leyen aveva tanta fretta di stipulare questo atto di diritto internazionale da dimenticare che le relative norme ne impongono la redazione per iscritto.
Proponiamo alla Presidente della Commissione di Bruxelles un gemellaggio con il nostro Sindaco, il quale ha destituito in forma verbale una funzionaria del Comune, senza curarsi del fatto che, fin dal Codice di Hammurabi, gli atti di diritto pubblico vengono emanati in forma scritta. Soprattutto per evitare discrepanze non solo sull’interpretazione, ma addirittura su quanto effettivamente dispongono.
Quanto non è stato chiarito e dettagliato su un campo da golf in Scozia verrà dunque stabilito unilateralmente dalla parte statunitense.
La situazione, come si è rivelata domenica scorsa, ripropone gli effetti di un rapporto di forze tra le due sponde dell’Atlantico che gioca disastrosamente a nostro sfavore.
Tre le circostanze gravi:
La Von der Leyen ha pattuito clausole che esulano dalla competenza dell’Unione, essendo riservate ai singoli Stati.
Non le era stato conferito alcun mandato ben definito e condizionato.
Non essendosi precisati i limiti del mandato, non può essere rimproverata per averli superati.
Al danno economico dell’acquisto obbligatorio da mercato americano si aggiungono:
dazi al 15% (o superiori) su prodotti strategici come l’acciaio;
crollo dell’industria bellica europea, e in particolare italiana, con licenziamenti e perdita di investimenti.
L’acquisto di armi all’estero non genera alcuna ricaduta economica positiva, ma aggrava il deficit pubblico in un contesto di recessione, aggravato dal fallimento della stagione turistica.
Von der Leyen, cresciuta a Bruxelles e “funzionaria UE dalla nascita”, succede degnamente a presidenti come Van Rompuy o Juncker. Da lei non ci si poteva attendere resistenza a Trump, né dignità istituzionale.
L’opposizione accusa la Meloni di aver favorito la capitolazione europea, sostenendo la “solidarietà atlantica” anziché una minaccia di guerra dei dazi.
La firma dell’accordo, forse motivata dall’urgenza di ricevere gas USA a credito per l’inverno, vincola l’Italia a spese certe e pesanti.
Occorre convocare la Meloni in Parlamento per due domande:
Quanto dovremo pagare?
Con quali coperture?
Escluso un aumento fiscale, resteranno solo tagli: scuole, ospedali, servizi pubblici.
La Presidente del Consiglio, favorita da questa crisi, può instaurare un regime repressivo, giustificandolo come “economia di guerra”. Ma non chiarisce né il nemico, né la causa reale.
Se c’è una vera causa nazionale, va affrontata con unità nazionale; se non c’è, il Governo non può esigere sacrifici.
La Meloni, però, sembra puntare più a regolare conti con gli avversari che a salvare il Paese.
Stessa logica del nostro Sindaco: dividere gli oppositori tra chi comprare con incarichi e chi criminalizzare, accusandoli di minacce e atti vandalici, fino a coinvolgere i servizi segreti.