Due sono i fatti messi in evidenza dalla cronaca quotidiana: uno è l’inizio dei lavori di costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, l’altro la reazione della Meloni alla richiesta di autorizzazione a procedere contro alcuni ministri per la vicenda Al Masri.
Due sono i fatti messi in evidenza dalla cronaca quotidiana: uno è l’inizio dei lavori di costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, l’altro la reazione della Meloni alla richiesta di autorizzazione a procedere contro alcuni ministri per la vicenda Al Masri.
Salvini ha detto che si potrà viaggiare in automobile e in treno tra Scilla e Cariddi tra il 2032 e il 2033.
Il che significa proiettare – almeno nelle intenzioni dei suoi gerarchi – il nuovo regime verso un futuro remoto.
Contrassegnando questa fase della storia nazionale con un’opera destinata a divenire eponima, quale fu, al tempo del Fascismo, la bonifica delle Paludi Pontine.

Rimane naturalmente il problema costituito dalla copertura della spesa.
Qui occorre fare il classico passo indietro e risalire al lontano 1949, quando tutti i Paesi dell’Europa occidentale stipularono un atto di diritto internazionale con cui si ridisegnava la carta stradale del continente, stabilendo che si dovesse costruire una rete di autostrade su tutto il suo territorio.
Tale non solo da facilitare i collegamenti tra i vari Paesi, ma soprattutto da consentire l’afflusso delle truppe occidentali in direzione della cosiddetta “Cortina di Ferro”.

Se i carri armati occidentali avessero potuto raggiungere rapidamente la possibile linea del fronte, un ipotetico avanzamento delle truppe sovietiche al di qua dell’Elba sarebbe stato fermato.
Risulta dunque chiaro che l’accordo stipulato subito dopo l’inizio della “Guerra fredda” venne concepito per vincerla.
Il che in tanto sarebbe avvenuto in quanto, per l’appunto, un eventuale tentativo di invasione fosse divenuto impossibile.

Giova ricordare come il Paese all’epoca più distrutto dalla guerra, ancora molto recente, fosse la Germania, la quale tuttavia già disponeva sul suo territorio di quella rete autostradale di cui le altre nazioni intrapresero solo allora la realizzazione.
Hitler aveva costruito tale infrastruttura in base allo stesso disegno strategico concepito in seguito dalle potenze vincitrici, che consisteva nel portare velocemente verso Est le truppe corazzate.

A questo punto, occorre ricordare come l’accordo del 1949 prevedesse anche il collegamento stradale tra il continente e la Sicilia, attribuendogli quello stesso valore strategico che la Meloni oggi invoca per inserire le spese di costruzione del Ponte nelle maggiori erogazioni da destinare alla difesa.

A questo punto, i nostri alleati vengono implicitamente ricattati.
Una caduta dell’attuale governo – questo è il messaggio tacitamente indirizzato da Roma alle altre capitali – impedirebbe all’Italia di onorare i propri impegni, danneggiando la difesa comune contro possibili minacce provenienti tanto dall’Est quanto – come in questo caso – dal Sud.
Essendo poco probabile una ripetizione nel prevedibile futuro dell’impresa compiuta da Tarik con il passaggio dello Stretto di Gibilterra (il quale infatti prese il suo nome), si fa riferimento alla flotta russa, che naviga incontrastata nel Mediterraneo.

La Sicilia ritrova così la sua funzione strategica.
Anche se forse non conviene alla Meloni fare riferimento a tale vocazione dell’isola: Mussolini credette di averla fortificata, ma gli americani la presero senza colpo ferire.
Grazie a un accordo tra i mafiosi locali e quelli radicati negli Stati Uniti, di cui beneficiò il generale Patton.

Oggi la “Onorata Società” fa parte di una sorta di “Internazionale” mafiosa che riunisce le analoghe consorterie straniere, ed in particolare quelle dei Paesi affacciati sul Mediterraneo.

Dovendo durare – quanto meno in prospettiva – fino al 2033, la Meloni liquida come un fastidio l’iniziativa della magistratura riguardante il caso Al Masri.
Anche le pietre sanno che al “governo” di Tripoli è bastato minacciare di prendere in ostaggio i marinai italiani addetti alla “formazione” della sua Guardia costiera, nonché i carabinieri impegnati nell’“addestramento” della sua polizia, per farsi restituire con tante scuse il “colonnello” in odore di pederastia.
Quanto all’impiego di un volo di Stato, lo si spiega con la fretta di adempiere.

Le cosiddette “regole di ingaggio”, che permettono ai componenti dei servizi segreti di sottrarsi alla giurisdizione penale – sempre che, naturalmente, le rispettino – non valgono però per i componenti del governo, dai quali le “barbe finte” hanno però logicamente richiesto di emanare quelle direttive che essi hanno eseguito.
Né risulta immune dalla giurisdizione penale la Presidente del Consiglio, la quale non è tuttavia riguardata dall’iniziativa della magistratura inquirente.
Per cui ha buon gioco nel rispondere alla procura in termini che ricordano il famoso discorso tenuto alla Camera da Mussolini il 3 gennaio del 1925, del quale è ricorso da poco il centenario.
“Se il fascismo – disse il Duce – è una banda di criminali, io ne sono il capo”.

Con queste parole, il Presidente del Consiglio volle significare che il suo governo poteva cadere soltanto per effetto di una crisi istituzionale.
Quelli tanto dell’Italia liberale quanto della Repubblica, precedenti l’avvento della Meloni, erano costretti a dimettersi per molto meno.
Il confine tra la vecchia normalità costituzionale e il nuovo regime è stato dunque già superato.
Gli italiani, però, se ne sono accorti soltanto dopo che ciò era avvenuto.
Tanto nel 1925 quanto esattamente un secolo dopo.

Anche nel periodo successivo al delitto Matteotti, che aveva scatenato la crisi del 1924, il governo – e con esso il suo capo – non contava soltanto sull’essere uscito vincente dalla contesa determinata dalla fine dello Stato liberale.
L’esecutivo garantiva infatti i Paesi alleati dell’Italia.
Esattamente come avviene oggi.

Anche se ad alcuni europei la Meloni non risulta per nulla simpatica, essi non saprebbero come e con chi sostituirla.
L’opposizione si aggrappa intanto al suo rapporto con Hamas.
Quello con l’Unione Sovietica di Stalin garantì fino alla fine della “Guerra fredda” l’egemonia esercitata da Togliatti – e dai suoi successori – sulla sinistra, tanto dal punto di vista politico quanto da quello economico.

Dopo la caduta del Muro di Berlino, vi è stato chi ha sposato la causa dell’Occidente, in alcuni casi per convinzione, in altri casi per convenienza.
Vi è stato però anche chi ha continuato a cercare dei “partner” tra i movimenti e i regimi del Terzo Mondo.

Da domani, i cubani si esibiranno nel festival di Rifondazione Comunista di San Bartolomeo al Mare.
I pentastellati compongono con le loro vesti i colori della bandiera palestinese a Montecitorio.
La “consulente cromatica” assunta dalla Schlein potrebbe trarne ispirazione.

La federazione ex comunista di Imperia, i cui dirigenti vivevano in una sorta di capsula del tempo dall’epoca della Selvaggina, continuò a sostenere la causa della “Grande Serbia” fino a quando Milosevic venne arrestato.
Al punto che il loro dirigente si strappò le vesti perché avevamo osato criticare la sua “pulizia etnica”.

Che Togliatti, rifugiato a Mosca sotto il fascismo, sentisse un legame con la “Terza Roma” si poteva spiegare in base alla sua vicenda personale.
I seguaci di Conte simpatizzano però con un movimento terroristico che perfino la Lega Araba ha invitato a deporre le armi, per evitare nuove sofferenze al suo stesso popolo, e che sta per essere eliminato mediante un’operazione di polizia.

La scelta di campo compiuta da questo settore della sinistra non ha nessun respiro strategico, né si può giustificare in base ad alcuna affinità ideologica.
Il movimento fondato da Grillo è una sorta di cataplasma buono per tutti gli usi, ma come può la Schlein subordinare la ricandidatura di un amministratore capace e integro, e di un politico del livello intellettuale di Giani, al beneplacito di cinquemila pentastellati della Toscana, i quali si accingono a giudicarlo nelle loro “cliccarie”?

Il governatore non ha certo bisogno di mendicare incarichi da un altro partito, come “Vladimiro Ilic” Quesada.
Una forza politica che accetta di sottoporsi a una simile umiliazione per compiacere un “alleato” ormai privo di ogni rappresentanza territoriale dimostra soltanto di avere perduto il rispetto di sé stessa.

Il Presidente della Toscana non ha neanche bisogno del nostro consiglio, ma al suo posto diremmo chiaro e tondo che siamo soltanto disposti ad accettare il giudizio della nostra base, o tutt’al più quello dei convergenti seri.
L’unica speranza che rimane alla sinistra consiste nel dimostrarsi più affidabile rispetto alla destra, dal punto di vista degli alleati dell’Italia come anche dei ceti che ancora permettono la sopravvivenza della nostra economia.

Quanto al “Bassotto”, ha trovato il modo di completare la “pista ciclabile”, estendendola ben oltre gli angusti confini della provincia di Imperia.
L’opera è infatti di interesse strategico, come il Ponte sullo Stretto, e deve essere dunque addebitata alla “spesa militare”.
Se è vero che lo scioglimento del glorioso “Ottantanovesimo Fanteria” non permette di usarla per farvi marciare i soldati durante l’addestramento, possiamo tuttavia invitare gli allievi dell’Accademia di Modena.
O quanto meno i riservisti, guidati dal generale Bellacicco, i quali già si preparano per l’imminente richiamo.

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Mario Castellano  31/08/2025
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