Il Trattato detto “del Quirinale” venne stipulato per volontà di Macron pochi mesi prima che la prevedibile crisi del Governo di Roma...
Il Trattato detto “del Quirinale” venne stipulato per volontà di Macron pochi mesi prima che la prevedibile crisi del Governo di Roma, guidato da Mario Draghi, portasse la Meloni a Palazzo Chigi.
Il Presidente della Repubblica francese era verosimilmente informato di quanto si stava preparando al di qua delle Alpi.
Non potendolo impedire – essendo collocato il nostro Paese fin dalla fine della guerra nella sfera di influenza degli Stati Uniti – Macron cercò saggiamente di salvare il salvabile.
Ogni atto di diritto internazionale può naturalmente venire denunciato da una delle cosiddette “Alte Parti Contraenti”, le quali possono più semplicemente evitare di rispettarlo.
Tale rischio risultava comunque inevitabile, e proprio per questo da parte francese si chiese ed ottenne di ricorrere a una procedura inusuale nella prassi del diritto internazionale.
Normalmente, i Plenipotenziari che negoziano e stipulano formalmente i Trattati sono – a seconda dell’importanza attribuita a tali accordi – diplomatici o ministri, se non addirittura capi di governo.
Macron volle invece che la firma apposta in calce al Trattato “del Quirinale” fosse quella dei due Capi di Stato.
Se il Presidente – in base alla Costituzione della “Quinta Repubblica” – è anche capo del potere esecutivo, al suo omologo italiano non viene attribuita questa funzione.
Essendo il nostro Presidente della Repubblica un organo cosiddetto “di garanzia”, un atto di diritto internazionale che reca la sua firma si pone – quanto meno dal punto di vista politico – al di sopra della parzialità implicita nel carattere elettivo delle altre istituzioni, che per via del loro carattere elettivo sono munite della cosiddetta rappresentanza politica.
Si voleva dunque attribuire all’accordo con l’Italia un particolare carattere vincolante, essendo molto difficile che i successivi governi ridiscutessero quanto era stato sancito personalmente dal Capo dello Stato.
Per ciò che attiene al merito delle norme contenute nel Trattato – che a suo tempo avemmo modo di commentare ampiamente – si configurava una sorta di “sovranità condivisa” sui territori di confine.
Nel caso delle regioni del Nord-Ovest dell’Italia – cioè Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, il cui estremo lembo occidentale costituiva a suo tempo una sottoprefettura di Nizza – ciò era conseguenza diretta e naturale delle loro comuni caratteristiche culturali.
L’identità dei due Paesi confinanti, dunque, si attenuava anziché sparire in coincidenza con il confine di Stato.
Non è certamente questa la sede idonea per illustrare nel dettaglio le clausole del Trattato, ma preme sottolineare che esso riconosceva nelle zone di confine una sostanziale parità di diritti tra le diverse espressioni linguistiche, prendendo atto dell’esistenza di quella che abbiamo sempre chiamato una “identità di transizione”.
Esisteva poi la parte relativa alla gestione comune dei servizi e, soprattutto, alla pianificazione del territorio.
Qualora si fosse ripetuta una situazione di reciproca estraneità, se non di aperta ostilità tra i due Paesi (come era avvenuto nella fase terminale del Fascismo, sfociata nella sciagurata aggressione del 1940), la Francia avrebbe potuto rivendicare una sorta di “zona cuscinetto” collocata al di qua del confine.
Che i timori da cui era motivata la parte transalpina, tanto nell’esigere molte clausole del Trattato quanto nell’accelerarne la stipula prima della prevedibile evoluzione della situazione interna italiana, non risultassero infondati lo dimostrò il clima di ostilità aizzato da Salvini contro la Francia e contro le sue autorità.
L’ex separatista “padano”, convertito inopinatamente al più esasperato centralismo, diffidava infatti di Parigi e di Nizza, scorgendo in esse l’origine di un’influenza politica di segno liberal-democratico, in grado di ostacolare i suoi disegni autoritari, che avrebbero trovato piena espressione nell’indirizzo assunto dall’attuale governo.
Al Sindaco di Nizza – orgoglioso della propria discendenza da uno dei tanti italiani costretti a divenire francesi per sottrarsi alla dittatura, ma tuttavia sempre partecipi delle vicende politiche del Paese di origine – non poteva sfuggire il pericolo insito nell’orientamento del capo della Lega.
Un orientamento che avrebbe potuto mettere in pericolo quasi otto decenni di lavoro paziente, compiuto da tanti politici, amministratori e rappresentanti della cultura e dell’imprenditoria di entrambi i lati del confine, per attenuare gli effetti della sua esistenza sui rapporti reciproci, che sono prima di tutto umani.
Il grande successo della dimostrazione passata alla storia come la “Manifestazione dei Sindaci”, che ci vide riuniti intorno a Estrosi, autore di un grande e coraggioso discorso conclusivo, riassuntivo di tutte le nostre ansie e di tutti i nostri auspici, fece sperare che quanto pattuito tra Roma e Parigi non sarebbe rimasto lettera morta.
Occorreva tuttavia sostanziare l’aspetto giuridico – necessario, ma non sufficiente – mediante l’azione politica.
Per questo, il Movimento “Grande Liguria” chiese al Sindaco di Nizza un’udienza.
L’istanza venne inoltrata per il gentile tramite di una personalità francese prestigiosa ed eminente, che ci fece il duplice favore di averci aiutato e di non essere nominata.
Per suo tramite, Monsieur Estrosi rispose che i temi da noi proposti per una valutazione comune richiedevano un esame lungo e dettagliato, non riassumibile in un breve incontro formale.
Si rinviò dunque la loro valutazione a un momento più idoneo, rimesso alla discrezione della parte nizzarda.
Venne l’incontro con Scajola, immediatamente successivo alla sua rielezione.
Il colloquio tra i due Sindaci sortì un risultato deludente, in quanto l’ignoranza dimostrata dalla parte italiana in merito alle potenzialità insite nel Trattato “del Quirinale” rese impossibile la loro stessa valutazione.
Ora la situazione, con il nuovo incontro celebrato a Imperia, risulta – se possibile – ulteriormente peggiorata.
Dai colloqui, celebrati con una formalità degna dei vertici tra capi di Stato – includendo gli aspetti conviviali, in cui si è distinto Osvaldo “Braccioforte Martini Tiragallo” – è emersa una sostanziale e preoccupante accettazione della concezione che Scajola dimostra di avere della gestione comune del territorio di confine, che ci limitiamo a definire ristretta, ma soprattutto speculativa.
Certamente l’incontro coi rappresentanti di Nizza e di Tenda – le due capitali dell’antica Contea che già il Sindaco Médecin sognava di ricostituire – ha propiziato il ritiro amichevole della Società di Armamento francese responsabile dello sbarco del cemento nel porto di Oneglia, così come ha segnato l’accettazione, da parte delle autorità transalpine, della deviazione verso il Colle di Tenda del cosiddetto “Traffico Pesante”, fino ad ora incanalato sulla Strada Statale 28 del Colle di Nava.
“Asfaltare – dice però un proverbio spagnolo – non è governare”.
A sua volta, la lingua tedesca ha due verbi con cui si può tradurre il nostro “governare”: uno è regieren, l’altro è herrschen.
Il primo richiama l’attività dei burocrati, l’altro l’esercizio della Signoria.
Che cosa ha indotto un uomo della statura di Estrosi a piegarsi all’orientamento espresso da Scajola, riferibile per l’appunto al mero regieren?
La difesa della causa della democrazia in Europa occidentale – che ha segnato una importante vittoria quando il Sindaco di Nizza si è messo in gioco per fermare il tentativo dell’estrema destra francese di appropriarsi della sua Regione, riunendo tutte le forze antifasciste dietro alla propria candidatura – esige anche un’uguale attenzione, da parte dei nostri amici nizzardi, a quanto avviene al di qua di Ponte San Luigi.
Ciò significa agire – in modo discreto, ma energico – a sostegno di chi non si rassegna all’affermazione di un regime autocratico in Italia, la cui prima conseguenza è costituita dall’avversione alle autonomie locali, specialmente laddove esse possono contare su di un supporto offerto dal diritto internazionale.
Gli antifascisti non potevano a suo tempo contare su nessuno di questi due strumenti.
Ed anche per questo furono messi a tacere, o costretti all’esilio.
Come avvenne per il padre di Estrosi, di cui giustamente ed orgogliosamente il Sindaco di Nizza rivendica l’eredità politica e morale.
Ci pare però che piegarsi alla volontà del suo omologo di Imperia comporti la rinuncia ad agire con lo strumento più importante messo a disposizione di noi tutti dal Trattato “del Quirinale”: la proiezione delle autonomie locali nella nuova dimensione transnazionale, affinando gli strumenti giuridici necessari per raggiungere questo scopo.
Altrimenti si finisce per essere condizionati dal timore di un vicino autoritario, che per sua stessa natura minaccia – quanto meno implicitamente – di operare con prepotenza e invadenza.
Oppure ci si limita a uno scambio di cortesie, come tra signorotti feudali.
Tenda non venne ceduta a Napoleone “il Piccolo” insieme con Nizza perché l’Imperatore – conoscendo la passione per la caccia di Vittorio Emanuele II – volle lasciargliela in regalo.
Il Generale De Gaulle, memore della storia, volle però completare il “Rattachement”.
Ora, realizzando una nemesi storica per avvenimenti che certamente ignora, Scajola scarica su Tenda il “Traffico Pesante”.
Non è con questi criteri che si gestisce il territorio.
Né, tanto meno, si difende la causa comune della democrazia.