Nel suo articolo pubblicato ieri su La Stampa di Torino, Massimo Cacciari constata lucidamente ...
Nel suo articolo pubblicato ieri su La Stampa di Torino, Massimo Cacciari constata lucidamente – anticipando i risultati del “Vertice” di Anchorage – il modo in cui la guerra in Ucraina si avvia sostanzialmente a concludersi.
Quanto ci attende, in sostanza, è il cosiddetto “decoupling” dell’Europa dalla Russia, o meglio dalla parte orientale del nostro continente.
Se è vero che gli avvenimenti successivi alla caduta del Muro di Berlino hanno permesso di includere molti Paesi dell’Est tanto nell’Unione Europea quanto nell’Alleanza Atlantica, è altrettanto vero che non solo permane la contrapposizione tra la “Prima” e la “Terza Roma”, ma soprattutto si manifesta l’impossibilità di saldare in una nuova unità le due parti del continente.
Ciò faceva parte tanto dei piani concepiti dai nostri grandi dirigenti del dopoguerra quanto, soprattutto, dei grandi Papi.
In particolare Giovanni Paolo II, senza dimenticare che già Paolo VI – incontrando a Gerusalemme il Patriarca Atenagora – mostrava di ritenere imprescindibile la prospettiva della riconciliazione tra la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’Oriente.
Laddove – annota Cacciari – il Concilio Vaticano II “poneva la complementarietà, oggi si erge una muraglia cinese”.
Se è vero che il vertice tra Putin e Trump si è concluso con un accordo tanto solido quanto inconfessabile, in base al quale l’America riconosce in prospettiva alla Russia l’estensione della sua egemonia sull’intera Ucraina – mentre gli “esperti” si domandavano quanti territori sarebbero stati attribuiti alla sovranità de facto di Mosca – è altresì vero che l’innalzamento di una nuova “Cortina di Ferro” (o di una nuova Muraglia Cinese, come la definisce Cacciari) sul suo confine orientale mette l’Europa nell’impossibilità di divenire “una potenza economica globale, né dal punto di vista demografico, né per le risorse energetiche disponibili, né sotto il profilo economico, produttivo, tecnologico”.
L’Europa occidentale si riduce dunque a costituire un avamposto isolato, o meglio contrapposto, simile alla fortezza del Deserto dei Tartari rispetto al suo entroterra euroasiatico. Con la prospettiva di rinchiudersi in una dimensione ristretta e asfittica.
Di chi è la colpa di questa situazione?
La “vulgata” più diffusa tra gli analisti la attribuisce a Putin, il quale indubbiamente ha voluto affermare le ragioni del suo Paese – deciso a riconquistare tanto la propria integrità territoriale quanto lo status di grande potenza – mediante una violazione del Diritto Internazionale.
Solo Putin – si domanda Cacciari – è dunque l’Anticristo?
“Piace crederlo? Bene, lasciamolo credere.”
Il professore pone allora la questione delle responsabilità dell’Occidente, che non ha voluto fermare la propria espansione militare verso Est, suscitando nella Russia l’atavica paura delle invasioni: prima quella svedese, poi quella napoleonica e infine quella nazista.
Quel che conta, però – a prescindere dall’attribuzione delle responsabilità – è che l’Europa ha perduto la sua grande occasione storica.
Il nostro continente, “una volta caduto il socialismo reale, avrebbe finalmente potuto essere Occidente ed Eurasia insieme: speranza crollata”.
Non oggi, quando Trump abbandona al suo destino l’Ucraina, senza riconoscere espressamente che questo è il risultato del vertice con Putin. Un esito tanto più inconfessabile in quanto contraccambiato con le concessioni sullo sfruttamento dell’Artico.
Lenin disse che i “capitalisti” avrebbero venduto ai “bolscevichi” persino “la corda per impiccarli”.
Putin, che si atteggia a fedele ortodosso, è in realtà – tra tutti i suoi successori – il più fedele all’insegnamento di Vladimiro Il’ič Ul’janov.
Con una strana eterogenesi dei fini, la Russia si espande non già per respingere un’invasione, né semplicemente per estendere il territorio incluso nei propri confini militari, quanto piuttosto nel nome di un’ideologia.
Che non è più, naturalmente, quella socialista, ma piuttosto il pensiero panslavista e panortodosso: il pensiero, cioè, che sostiene la sua identità nazionale.
Proprio per questo, l’Europa occidentale non deve temere un’ulteriore espansione verso Ovest che – quand’anche risultasse possibile – finirebbe per contaminare, appunto, l’identità della Russia.
Ciò nondimeno, l’erezione di un confine impenetrabile a Est ci rinchiude in una visione difensiva e ristretta della nostra identità cristiana occidentale.
Cacciari aveva già indovinato – durante la Vacatio Sedis – l’esito del Conclave, intuendo il disegno di un Papato, o meglio di un Cattolicesimo, che l’ex sindaco definiva “carolingio”.
Ora il professore ha intravisto con qualche ora di anticipo l’esito del vertice di Anchorage, che risultava prevedibile tenendo conto della situazione internazionale.
Trump si preoccupa soltanto del tornaconto economico, che già lo ha spinto a rinnegare la “solidarietà occidentale”.
L’Europa, naturalmente, protesta ad alta voce, ma si compiace per non dover aggiungere al danno derivante dai dazi la spesa necessaria per comprare in America le armi da destinare all’Ucraina.
Ammesso che il tycoon sia ancora disposto a venderle.
Per arricchirlo, basta la vendita delle materie prime energetiche, senza le quali andremo a piedi e passeremo l’inverno al freddo.
Putin ha vinto su tutta la linea: avendo ritrovato lo status di grande potenza e accingendosi a restaurare l’unità del “Mondo Russo”, umiliando per giunta l’Europa occidentale, che non poteva avventurarsi in Ucraina con le proprie truppe senza l’apporto americano e soprattutto senza rischiare una guerra mondiale.
Ora dovremo tuttavia continuare a fare a meno del nostro migliore fornitore di gas.
Risulta evidente la contraddizione tra i nostri proclami altisonanti, in difesa del Diritto Internazionale e della causa della libertà dei popoli, e la convenienza di mantenere un relativo benessere, comunque declinante e soprattutto non supportato da una nostra forza militare, politica ed economica.
L’Europa occidentale assomiglia sempre più al Basso Impero Romano.