Crisi industriale, Imperia e il silenzio della politica
La “Stellantis” ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Termoli, in Molise, causando la disoccupazione immediata di milleduecento dipendenti.
La signora Schlein non ha neppure pubblicato un comunicato stampa per esprimere quanto meno rammarico e solidarietà con questi lavoratori, né – tanto meno – per invitare la Proprietà a un ripensamento della sua decisione.

La trasformazione – che assume ormai un’accelerazione impressionante – dell’Italia in un Paese non più manifatturiero non sembra affatto interessare i dirigenti del Partito “dei Lavoratori” (?!).
La cui massima esponente scende in piazza soltanto per solidarizzare con gli omosessuali.

Nessuno, beninteso, può accettare che queste persone siano discriminate o prese a bersaglio della violenza detta, per l’appunto, “omofoba”.
Si tratta tuttavia di episodi dovuti all’intolleranza – certamente deplorevole – manifestata da alcune persone, non certo di un orientamento proprio di qualche organo dello Stato.

La chiusura delle fabbriche, anche se a volte è dovuta a cause oggettive, come il crollo della domanda o la concorrenza dei Paesi del cosiddetto “Terzo Mondo” – dove le retribuzioni risultano troppo basse perché l’Italia possa reggere il confronto – rientra invece in un disegno politico condiviso tanto dalla Maggioranza quanto dall’Opposizione, la quale dunque non può distinguersi rispetto al Governo su questi temi.

Imperia, che è sempre all’avanguardia del nostro Paese nelle tendenze negative – e viceversa alla retroguardia in quelle positive – rappresenta il modello ideale di una società postindustriale: in cui però alle manifatture non si sostituisce assolutamente nessuna altra attività produttiva.

Il Partito Comunista invocò per tutti gli anni Settanta – quando le sue fortune elettorali erano al culmine – la dislocazione nella nostra città di una fabbrica delle Partecipazioni Statali.
Occorreva infatti dare una qualche occupazione ai proprietari delle botteghe rionali, le quali in quel periodo chiudevano una dopo l’altra, dopo che la Federazione Comunista le aveva inquadrate nella “Confesercenti”.

È interessante notare come il Partito locale non si sia mai dotato di un proprio organo di stampa, che avrebbe dovuto necessariamente prendere posizione sulle scelte compiute dall’Amministrazione comunale.
Poiché però la chiusura delle fabbriche conveniva anche ai dirigenti della cosiddetta “Sinistra”, era meglio tacere a questo riguardo.
Fu così che cessò la pubblicazione de “Il Mercurio”, organo per l’appunto dei bottegai, per i quali venne negoziata in alcuni casi l’assunzione presso i nuovi supermercati.
I meno raccomandati andarono invece a spasso.

L’altro organo ufficioso del Partito Comunista era “Riga dritto che ti pitto”, una sorta di Gazzetta Ufficiale degli adulteri, veri o presunti.
È naturale che, per la “dialettica di classe”, i proletari critichino i borghesi.
Lo stesso Marx, d’altronde, asserisce ne “Il Manifesto dei Comunisti” che costoro si dedicano a sedurre a vicenda le loro mogli.

La critica che rivolge loro il “Profeta di Treviri” è tuttavia ben più approfondita, ma la sua applicazione alle diverse realtà locali richiede un approfondimento di cui i dirigenti di via San Giovanni non erano – e non sono – assolutamente capaci.
Costoro incaricarono dunque un impiegato della Federazione di raccogliere la pubblicità per “Riga dritto che ti pitto”: una pubblicazione di cui certamente Antonio Gramsci non sarebbe stato orgoglioso, né dal punto di vista strettamente politico, né da quello estetico.

Marx aveva detto anche che nei Paesi “capitalisti” il Governo è il “Comitato d’affari del grande capitale”.
A Imperia, questo Comitato comprendeva i dirigenti democristiani e quelli comunisti, che decidevano la spartizione della torta.
Dando ragione a chi all’epoca diceva che “il Socialismo è il Capitalismo gestito da noi”.

Questa linea può anche essere accettata, a condizione che si tratti di un Capitalismo illuminato, cioè contraddistinto da una parte dallo sviluppo dei servizi sociali e dall’altra da una distribuzione abbastanza equa del reddito.
Si dà però il caso che gli unici stipendi erogati a Imperia nel settore privato siano quelli corrisposti ai dipendenti dei supermercati.

L’alternativa davanti alla quale sono posti i nostri giovani è dunque tra emigrare o ripartire le merci sui loro scaffali.
I più bravi vengono assegnati alle casse.

Secondo il Sindaco, esiste una terza possibilità, consistente nell’occupazione nel turismo di lusso, propiziato dalle opere faraoniche già realizzate o ancora in cantiere.
Aperta la “Pista Ciclabile”, verranno spianati i silos e l’ex Agnesi per fare posto a nuovi “residence”.

Speriamo che l’Amministrazione comunale azzecchi le sue previsioni, ma la contrazione del turismo – che ha vissuto quest’anno una stagione disastrosa – ne fa quanto meno dubitare.
Gli unici a galleggiare sono quanti hanno trovato posto nelle “Partecipate”, che consentono di accedere a un impiego pubblico mascherato da impiego privato.
Ciò permette di assumere i dipendenti in base a criteri politici, evitando il rischio costituito dai concorsi – per l’appunto pubblici – in cui il proverbiale asino può anche cascare.
Per non parlare del fatto che le procedure sono abbreviate.

Imperia è uno specchio deformante dell’Italia, che ne ingigantisce le deformazioni, ma riflette pur sempre una realtà diffusa ben oltre i nostri ristretti confini.

Il silenzio dell’Opposizione sulla situazione sociale causata dai licenziamenti è conseguenza – anche a Roma – del fatto che i suoi dirigenti appartengono anch’essi al novero dei cosiddetti “tutelati”.
Cioè dei privilegiati che rimangono immuni da fenomeni devastanti di cui è vittima chi non sta – come si suol dire – “al caldo”, ma rimane fuori dalla porta, esposto alle intemperie.

Tra questi due mondi esisteva un tempo un minimo di rapporto: si manteneva il filo di una comunicazione che permetteva al “Palazzo” di percepire quanto avveniva al di fuori.
La porta di Palazzo Chigi, nell’epoca di Andreotti, era aperta non solo metaforicamente.
Una volta, durante un Congresso, il deputato Costamagna, della destra democristiana, criticò per questo il Presidente del Consiglio, lamentando che il suo cortile era diventato una sorta di bazar, dove si esprimevano tutte le voci della protesta e del malcontento.
Andreotti – lo ricordiamo bene, essendoci trovati in platea – rispose che questa presenza doveva essere viceversa considerata un merito del suo Governo, essendo ancora in grado di percepire che cosa avveniva nel Paese, quali fossero i bisogni della gente.

Renzi impartì alla Polizia l’ordine – rimasto vigente sotto i suoi successori – di fermare i cortei dei disoccupati in piazza Venezia, anzi addirittura nei pressi della stazione Termini.
Avvenne così che un commissario facesse manganellare gli operai delle Acciaierie di Terni, venendo per questo silurato.
Il povero funzionario fu dunque usato come capro espiatorio ed invano protestò dicendo di avere soltanto eseguito gli ordini impartiti dal Presidente del Consiglio in persona, che comunque non sono mai stati modificati.

La mancanza di una vera Opposizione può produrre due risultati:
le voci di protesta verranno forse temporaneamente messe a tacere dalla repressione.
Se però il malcontento dovesse generalizzarsi, trovando esca in una situazione sociale in via di degenerazione, finirebbe per sorgere una nuova Opposizione, che assumerebbe però un carattere non più legalitario, bensì violento ed eversivo.
Esposta per giunta alle infiltrazioni di quei soggetti stranieri che hanno interesse a destabilizzare l’Italia, e forse l’intero Occidente.

A questo punto, il disordine diverrebbe cronico.
L’impossibilità di un’alternativa manterrebbe al potere l’attuale Governo, che si rivelerebbe però incapace di normalizzare la situazione, tanto dal punto di vista dell’ordine pubblico quanto – a maggior ragione – da quello della stabilità sociale.

I dirigenti della cosiddetta “Sinistra” si guarderebbero però bene dal contrastare il Potere, poiché ne fanno parte integrante.
La sua base di consenso risulterebbe comunque tuttavia troppo ristretta per garantirgli un minimo di stabilità.

Questo è lo scenario che si annuncia per l’autunno ormai imminente.
Continua intanto l’erogazione del Circo senza Pane.

Le “Vele d’Epoca” saranno un grande congresso nazionale degli equipaggi dei grandi panfili.
I loro proprietari rimarranno a casa, i marinai mangeranno a bordo e i ristoranti saranno vuoti.
Il popolo potrà però ammirare le imbarcazioni.
Perfino la stampa sarà assente dall’evento, che dunque non verrà celebrato nelle cronache nazionali, omettendo così di fare pubblicità alla “Pista Ciclabile”, conosciuta perfino in Giappone.

L’evento verrà tuttavia allietato dall’esibizione della cantante Di Pierro.
“Carneade, chi era costui?”, avrebbe commentato Don Abbondio.

Il rinfresco sarà invece rigorosamente “ad inviti”.
Ignoriamo chi si sia aggiudicato il catering.
Una volta esso venne conteso tra Tonino della “Lanterna Blu” e Osvaldo Martini Tiragallo del ristorante “Braccioforte”: il quale uscì perdente dal confronto e di conseguenza cadde in depressione.
“Sono giù da matti!”, fu il suo sconsolato commento.

Il Mediterraneo vede scatenarsi periodicamente simili scontri di giganti: dopo quello delle Egadi tra Roma e Cartagine, Lepanto tra Cristiani e Musulmani, e Trafalgar tra Inglesi e Francesi, venne la battaglia di Calata Anselmi tra Napoletani e Onegliesi.
Tonino iscrisse dunque il suo nome nella Storia accanto a quelli di Caio Duilio, di Don Giovanni d’Austria e di Orazio Nelson.
Osvaldo “Braccioforte” Martini Tiragallo ancora si rammarica per la sconfitta.

Send Comments mail@yourwebsite.com Saturday, April 25, 2020

Mario Castellano  9/09/2025
Copyright ilblogdimario.com
All Rights Reserved