Massimo Viglione – Habemus Papam? Edizioni del Maniero del Mirto, Roma, 2024 – 270 pagine, 25 euro
Ringraziamo l’anonimo donatore che — nell’evidente intento di ottenerne una recensione, data la nostra familiarità con i temi trattati — ci ha fatto pervenire indirettamente una copia di questo libro.
Non abbiamo l’onore di conoscere personalmente l’Autore, anche se risulta dalle note biografiche inserite nel volume che egli si annovera tra i componenti di un “milieu” con il quale siamo stati in contatto.
In particolare, vengono citati nella bibliografia il professor Roberto de Mattei e padre Serafino Maria Lanzetta da Ponte a Cagnano, dei Frati Francescani dell’Immacolata.
Quanto al professor Viglione, si ricordano le “numerose pubblicazioni, alcune edite in riviste scientifiche internazionali, sui temi delle insorgenze antigiacobine in Italia, della Rivoluzione risorgimentale, della persistenza dell’idea di Crociata e delle guerre anti-ottomane nei secoli tardo medievali e moderni”.
Si tratta dunque di uno studioso di cui nessuno può mettere in dubbio la serietà, collocato in quel filone dell’attuale ricerca storiografica che tende — peraltro giustamente — a una rivalutazione della Tradizione, cioè delle radici dell’identità italiana ed europea.
Annotiamo “en passant” che il ripensamento sul cosiddetto “Risorgimento” porterà inevitabilmente questa corrente di pensiero a rivalutare la dimensione e la radice regionale propria dei cosiddetti “Antichi Stati” preunitari.
Ciò premesso, ricordiamo che quando uno storico si avventura sul terreno della valutazione del presente — e più ancora della previsione di un ipotetico futuro — corre il rischio di debordare nella polemica e nel “pamphlet”.
Tralasciamo dunque la ricostruzione — fondata su mere ipotesi, e non suffragata da quel corredo documentale da cui uno studioso serio non può mai prescindere — delle dimissioni dal pontificato da parte di Benedetto XVI, che risulterebbero naturalmente illegittime qualora ciò venisse provato.
L’esercizio di una “vis compulsiva” volta a indurre il Papa a compiere tale atto, e consistente in un qualche ricatto o in una qualche minaccia subita da Joseph Ratzinger, non si appoggia su alcuna documentazione attendibile.
C’è in realtà chi si è spinto addirittura oltre, ipotizzando una violenza fisica subita dal Pontefice, sottomesso a “torture” denunciate cripticamente nei suoi interventi pubblici.
Osserviamo a tale riguardo come, qualora la condizione del “Papa emerito” fosse stata quella di un carcerato, egli avrebbe potuto sottrarsene quando fu trasportato in Baviera per assistere il fratello monsignor Georg nei suoi ultimi giorni di vita.
Perché mai Ratzinger non ne approfittò per una evasione?
Sull’illegittimità delle dimissioni del Papa — come a suo tempo sulle cause non naturali della morte di Giovanni Paolo I — non esistono prove, e nemmeno indizi.
Salvo considerare tale il “cui prodest?” tanto della rinuncia di Benedetto XVI quanto della asserita “uccisione” di Giovanni Paolo II.
L’Autore conclude affermando la “possibilità che Francesco non sia Francesco, ma solo Jorge Mario Bergoglio”.
“Possibilità, e non certezza”: Viglione dimostra di essere ben conscio del fatto di non aver affatto provato l’illegittimità — e dunque l’annullabilità — dell’atto con cui Ratzinger si era dimesso.
Non risulta peraltro se l’Autore consideri tale atto illegittimo — e dunque annullabile — oppure nullo.
Se Viglione fosse un giurista, chiarirebbe in quale di tali due categorie egli collochi la rinuncia al pontificato.
Se l’atto fosse illegittimo, avrebbe infatti prodotto i propri effetti giuridici fino a un eventuale annullamento.
Se invece fosse nullo, sarebbe stato passibile solo di una dichiarazione, ma non avrebbe mai prodotto effetti giuridici.
Rimane dunque il problema di individuare quale organo della Chiesa dovrebbe esprimersi.
L’Autore afferma che la competenza per dichiarare “che la Sede papale sia oggi vacante” spetta ai cardinali o a un concilio.
Né gli uni né l’altro, tuttavia, “lo fanno, né si pongono il problema di aprire un dibattito pubblico sulla questione”.
Per il semplice fatto, annotiamo noi, che si tratta di una questione manifestamente infondata.
Questo Viglione scriveva quando Bergoglio era ancora vivo, ma già l’Autore prefigurava la sua morte, annotando che il futuro conclave avrebbe eletto un pontefice a sua volta illegittimo, in quanto eletto da cardinali di nomina bergogliana.
L’annullamento dell’elezione di Bergoglio, o la sua dichiarazione di nullità, avrebbe infatti comportato la decadenza di tutti gli atti emanati da chi in realtà non poteva essere considerato Papa.
Per nominarne uno autentico, ci si poteva dunque alternativamente affidare “all’azione della Provvidenza” — di cui non è chiaro come si sarebbe manifestata — oppure “contare sul fatto che il futuro pontefice, se sarà accettato dalla Chiesa universale, sarà comunque legittimo per la ‘sanatio in radice’”.
Pare di capire che chi sarebbe stato scelto dal conclave — cioè Prevost — può essere o meno considerato Papa legittimo, oppure a sua volta antipapa, a seconda dell’approvazione o del rigetto delle sue decisioni da parte della “Chiesa universale”.
Qui però si riaffaccia lo stesso problema che abbiamo rilevato a proposito dell’organo competente per dichiarare la sede vacante.
Si tratta cioè di un concilio, oppure dei cardinali?
Ma i cardinali sono in gran parte nominati da Bergoglio, come del resto i vescovi riuniti in un eventuale concilio.
Il problema risulta dunque irresolubile dal punto di vista giuridico.
Tanto qualora sia stato causato dall’asserita illegittimità delle dimissioni di Ratzinger quanto se lo si voglia porre in relazione alle “continue eresie pubbliche e pervicaci” commesse da Bergoglio.
Tali, naturalmente, ad avviso di Viglione e di chi la pensa come lui.
È vero che il compito del Papa consiste nel “confermare i credenti nella fede”: per cui, nella denegata ipotesi che il Pontefice cadesse nell’eresia, egli verrebbe considerato decaduto “ope legis”.
Chi però dovrebbe emettere una sentenza dichiarativa in tal senso?
“E quindi? Qual è la soluzione?”, si chiede l’Autore.
Il quale annota sconsolatamente: “Forse la verità è che la soluzione non c’è, e pertanto occorre effettivamente abbandonarsi all’intervento divino — o comunque al divenire degli eventi futuri che non possiamo ancora conoscere — per verificare l’esplicarsi dell’azione divina nella Chiesa”.
L’intervento divino può tuttavia essere propiziato dalla preghiera.
Per cui “invitiamo fermissimamente ad andare alla Messa apostolica del Rito Romano antico”, ovvero “abbandonare il rito in volgare rivoluzionario per aderire per sempre alla Messa di sempre”.
La cui autorizzazione venne ampliata da Ratzinger, purché naturalmente non comportasse la consumazione o la proclamazione di uno scisma, che l’Autore deplora e sconsiglia — a dire il vero energicamente — a chi condivide le sue opinioni.
Se però la partecipazione alla Messa celebrata secondo il “Vetus Ordo” è in funzione di contare i fedeli che pongono il problema della sede vacante, i quali — pur non denunciandola espressamente — affermano il diritto, anzi il dovere, di insinuare che tale sia attualmente l’effettiva situazione della Chiesa, allora esiste il pericolo che si determini uno scisma “de facto”, la cui proclamazione viene tuttavia rinviata al momento in cui i suoi seguaci saranno abbastanza forti e numerosi.
A questo punto, ipotizziamo una possibile conclusione.
Gli scismi sono sempre stati causati da interventi — o comunque da influenze — di qualche potere temporale.
Questo non avvenne dopo il 1870, perché lo Stato, essendo laico, si disinteressava delle vicende interne alla Chiesa.
Oggi però vediamo risorgere gli Stati confessionali, di cui la Russia è l’esempio più evidente in ambito cristiano.
L’Autore disapprova quei cattolici che si sono convertiti, nel nome della Tradizione, all’Ortodossia.
Non si dissocia invece da chi ha scelto di operare come “longa manus” di Putin in ambito cattolico.
Un’ipotetica tutela russa sull’Occidente potrebbe favorire i fautori della sede vacante, se non altro in quanto la loro azione indebolirebbe la resistenza opposta ai disegni perseguiti dalla “Terza Roma”.
Il patriarca Cirillo si congratulò pubblicamente con Benedetto XVI quando il Papa ampliò la possibilità di celebrare la Messa in latino, come a volersi annettere il settore tradizionalista che si riconosce nel “Vetus Ordo”.
Leone XIV commemora solennemente, insieme con gli Ortodossi, il centenario del Concilio di Nicea, ove fu redatto il nostro Credo comune.
Volendo sottolineare come l’unità dei cristiani consista nella fede comune, e non nell’affinità tra i riti.
Evidentemente, il Papa ha capito chi può avere interesse a minare la sua autorità.