La notizia del giorno viene, come sempre, dal Sindaco di Imperia.
Mentre la democrazia è noiosa, la dittatura – necessitando di continui annunci e celebrazioni – risulta, al contrario, divertente.
Per essa la novità quotidiana è necessaria quanto il pane per gli esseri umani.
Tale pratica richiede però un controllo assoluto dei mezzi di comunicazione.
Mussolini esaltò l’impiego della radio, che – essendo ancora un lusso – costringeva la povera gente ad aggregarsi nelle Case del Fascio per ascoltare i suoi discorsi.
Berlusconi, perseguendo l’obiettivo opposto di mantenere gli Italiani chiusi nel proprio particulare, cioè nel salotto di casa, seppe impiegare magistralmente la televisione.
Scajola, invece, sembra essere tornato inaspettatamente all’uso dei giornali quotidiani.
In primo luogo, è abbastanza facile assicurarsi i favori dell’esigua schiera dei corrispondenti locali.
In secondo luogo, il Sindaco ha colto un dettaglio sociologico sfuggito ai suoi rivali:
il giornale viene sempre meno letto individualmente, poiché molti cittadini – per risparmiare – lo consultano al bar.
È il luogo di aggregazione favorito dai “Bassotti”, che piazzano in ogni locale pubblico qualche loro propagandista o provocatore.
Costoro, per introdurre le chiacchiere (le famose “da bar”), prendono spunto dalle cronache locali – evidenziate tanto nelle locandine quanto nella grafica – che mettono in risalto le doti del Capo.
Non sappiamo se costui abbia contrattato uno specialista in comunicazione, ma è certo che il “Bassotto” viene presentato come un demiurgo:
colui che risolve i problemi reali e persino quelli immaginari.
Accade così che un giorno La Stampa e Il Secolo XIX lancino allarmi su presunti disservizi cittadini – spazzatura accumulata o traffico rallentato –
e il giorno dopo pubblichino un articolo ancor più in evidenza che annuncia la risoluzione del problema.
Mussolini faceva credere analogamente che l’identità nazionale fosse minacciata dall’uso del “lei”, imponendo il “voi”.
In realtà, gli antichi Romani si davano tutti del “tu”; il “voi” entrò in uso con il predominio francese e il “lei” con quello spagnolo.
Dare del “tu” al Duce sarebbe parso irrispettoso, e così gli Accademici assecondarono le sue scelte linguistiche.
Perfino le sciagurate leggi razziali vennero presentate come una “soluzione” a un presunto dominio giudaico sulla nazione.
Oggi il “Bassotto” vuole far credere che gli Imperiesi fossero disperati all’idea di uno sfratto dal Municipio nel 2028.
Ecco dunque la soluzione: modificare le leggi dello Stato per consentirgli di essere rieletto.
Nasser, dopo aver perso la “Guerra dei Sei Giorni”, si dimise.
Non sapremo mai se la sua decisione fosse calcolata per suscitare la reazione del popolo, o se la risposta delle masse fu spontanea.
Nel caso di Imperia, la maggioranza dei cittadini non saprebbe chi scegliere come successore dell’attuale Sindaco.
Tolto il ristretto gruppo disposto a fargli da “scalda sedia”, nessuno vorrebbe contare i debiti del Comune, tantomeno pagarli.
Tale impresa supera infatti le capacità umane.
Ecco quindi l’auspicio di una rieleggibilità, e di una nuova vittoria plebiscitaria che – rimosse le barriere legali – converrebbe anche alla Meloni.
Scajola sta alla “Sorella d’Italia” come Lukashenko sta a Putin e Kim Jong Un a Xi Jinping:
vassalli fedelissimi, incaricati di controllare con pugno di ferro una Marca di frontiera.
Tra i colleghi, Scajola somiglia a Lukashenko perché necessita di essere “rieletto” periodicamente,
mentre lo accomuna a Kim Jong Un l’atteggiamento paranoico che lo porta a sospettare di tutti e a promuovere “purghe” tra i collaboratori.
Al contempo, coltiva un culto della personalità quasi orwelliano.
Il sospetto paranoico del tradimento, tipico dei dittatori, ha spinto perfino Putin a far uccidere il proprio cuoco.
Osvaldo “Braccioforte” Martini Tiragallo dovrebbe dunque fare attenzione.
Con la famiglia Kim, gli Scajola condividono il carattere ereditario del potere.
Il nordcoreano ha portato in Cina il figlio tredicenne, già addestrato alla successione.
Anche Kim Jong Un è brevilineo e porta i capelli rizzati con brillantina per sembrare più alto;
Scajola, invece, preferisce le scarpe ortopediche.
Le analogie con Putin e Xi Jinping riguardano il giovanilismo:
il russo pratica sport estremi, il Sindaco preferisce diffondere voci sul suo fascino da tombeur de femmes.
Il tratto comune resta la permanenza al potere.
Se Xi mira a rendere la Cina prima potenza mondiale e Putin a ricostituire la “Grande Russia”,
Scajola ha pianto di commozione annunciando di voler vedere completato il Porto – non da pensionato, ma da Sindaco.
Si calcola che avrà almeno ottantacinque anni.
Non sappiamo se il faraone Cheope vide completata la sua piramide, ma entrambe le opere condividono la stessa ambizione monumentale.
Solo che il Porto Turistico è costruito coi debiti – i “puffi”, come li chiamano a Roma – destinati, prima o poi, a sgonfiarsi.
La Meloni tratta Scajola come Mussolini trattava D’Annunzio, il quale si indebitava per mantenere la corte del Vittoriale.
Scajola pensa in grande: abbattimenti, demolizioni, boschi urbani e sventramenti, fino al cimitero di Porto Maurizio.
Perfino i trapassati pagano il prezzo del suo furore urbanistico.
Tutto ciò deriva dal fatto – di cui pochi si sono accorti – che la Provincia di Imperia è ormai de facto uno Stato indipendente.
Questo consente a Scajola di fare “politica estera”, perfino sul Medio Oriente, e di agire come legibus solutus.
Simile al generale Haftar, signore della Cirenaica, egli può fare ciò che vuole perché lo “Stato Imperiese” non esiste ufficialmente,
ma esistono il popolo, il territorio e l’autorità di governo – priva, per giunta, di opposizione.
I suoi dirigenti, anziché sostituirsi ai governanti, aspirano a entrare in società con loro.
La “Go Imperia” fa impallidire il ricordo delle società coloniali per l’importazione della selvaggina.