Della “flottiglia” diretta a Gaza, partita con grande strepito di fanfare da Genova, Barcellona e Marsiglia, si sono ormai perdute le tracce.
È trascorso un tempo più che sufficiente per raggiungere, trattandosi di imbarcazioni sicure e veloci, le acque antistanti la Striscia.
Chi può attingere informazioni da Internet riferisce che dalle navi vengono trasmesse immagini di musica e balli sul ponte.
Il precedente del Titanic dovrebbe ammonire quanti vi sono imbarcati, ma – non trattandosi, salvo per gli equipaggi, di marittimi di professione – ignorano la proverbiale superstizione propria di questa categoria.
In realtà, ciò che non viene comunicato è l’ubicazione del corteo di natanti, che si suppone fermo e concentrato in qualche punto del Mediterraneo orientale, dove dovrebbe essere raggiunto da un gruppo di parlamentari di sinistra.
I quali – almeno così si suppone – verrebbero calati a bordo da elicotteri appositamente noleggiati, aumentando così le spese.
Ogni pacco di “aiuti” finirà quindi per costare carissimo.
I donatori avrebbero potuto aumentarne la consistenza semplicemente scegliendo un mezzo di trasporto meno spettacolare.
Se, per esempio, la consegna fosse stata concordata con le autorità israeliane, i viveri sarebbero già arrivati e consumati dai bisognosi.
Gli organizzatori della “flottiglia” – considerando illegale l’occupazione di Gaza da parte dei “sionisti” – rifiutano tuttavia di trattare con Gerusalemme.
Le autorità israeliane, al momento dell’ingresso dei navigatori in acque territoriali, provvederebbero – come già annunciato – a sequestrare le navi con il relativo carico, rimpatriando gli attivisti.
È poco probabile che Netanyahu voglia attirarsi l’impopolarità di mettere in prigione gli intrusi; è dunque verosimile che costoro indugino in alto mare, dedicandosi ad attività ricreative degne del defunto ministro De Michelis, in attesa che i vari ministeri degli Esteri trovino un compromesso che salvi la faccia ai “propal” senza intaccare la sovranità di Israele.
I naviganti, partiti come bolscevichi, si sono trasformati in dorotei.
Se i negoziati dovessero fallire, la delusione ricadrebbe soprattutto sui tifosi rimasti prudentemente a terra.
Un eventuale abbordaggio militare, come quello avvenuto in passato contro un convoglio turco di Erdogan, fornirebbe all’Occidente la “prova” della malvagità dei sionisti, ma metterebbe a rischio la sicurezza dei “turisti politici”.
Il tempo del negoziato coincide con la durata delle riserve d’acqua a bordo e con la scarsa abitudine alla navigazione dei partecipanti.
Alcuni antenati della marineria onegliese aprirono la rotta verso l’Australia, sei mesi all’andata e altrettanti al ritorno: impresa lunga, ma fruttuosa.
Gli equipaggi, però, si ammalarono di scorbuto, perdendo tutti i denti.
I moderni della “flottiglia” rischiano molto meno: la loro avventura è l’ultimo ritrovato del “turismo politico”.
È andata peggio alla “carovana” partita da Tunisi via terra: il generale Haftar non l’ha fatta passare per la Cirenaica e l’Egitto ha chiuso il confine, costringendo i “carovanieri” a tornare indietro con le pive nel sacco.
Le crociere “politiche” hanno avuto in passato protagonisti celebri: Carola Rackete, che speronò una motovedetta della Guardia di Finanza e divenne eroina della sinistra, o Greta Thunberg, che attraversò l’Atlantico su una barca “ecologica” per poi tornare con un jet privato, vanificando ogni risparmio ambientale.
Dei palestinesi, a questa gente, importa ben poco: cercano solo visibilità.
Come gli “occidentali” rapiti dai terroristi e tornati in patria acclamati come martiri, spesso dopo conversioni spettacolari come quella della “milanese Aisha”.
Su tutti loro è poi caduto l’oblio, mentre i governi occidentali pagavano riscatti milionari per liberarli.
Raramente si trattava di veri cooperanti: molti erano improvvisati o ciarlatani.
L’autore ricorda la propria esperienza diretta nel “Terzo Mondo”, dove vide incompetenza, corruzione e sprechi nei progetti di cooperazione internazionale.
Un esempio: la Spagna pagò trentamila dollari a un “giurista” locale che copiò il codice civile spagnolo cambiandone solo l’intestazione.
Alla fine, anche chi lavorava seriamente veniva ignorato, mentre i “turisti della cooperazione” ricevevano medaglie e onorificenze.
Da qui la conclusione: quanti si sono imbarcati nella “flottiglia” riceveranno forse un riconoscimento da Hamas, ma sulla loro lealtà verso l’Italia è lecito dubitare.
Il governo italiano, intanto, osserva un’opposizione impegnata nella causa palestinese ma disattenta ai problemi economici del Paese.
Mentre la sinistra si lava la coscienza col proprio “internazionalismo”, la destra prosegue indisturbata nella sua “macelleria sociale”.
Il sindaco di Imperia, infine, si unisce ai “propal”, aggiungendo la sua dose di demagogia.
Sorge quindi il sospetto che entrambe le parti recitino lo stesso copione.
La vera opposizione – conclude l’autore – potrà nascere solo da una reazione popolare spontanea contro questo stato di cose.