Astensione elettorale e crisi del sistema: chi sono i veri tutelati...
Il nuovo “Governatore” del Veneto è stato votato da circa un milione di elettori su più di quattro milioni di cittadini aventi diritto al suffragio.
Lo stesso discorso vale per i suoi colleghi della Campania e della Puglia.

Ciò significa che gli italiani non soltanto disapprovano l’operato di quella parte della cosiddetta “classe dirigente” da cui sono direttamente governati, bensì l’azione, complessivamente considerata, di tutta quanta la consorteria.

Ciò premesso, cerchiamo di capire da chi è composta quella “maggioranza” – molto relativa, risultando tale soltanto se raffrontata con il seguito dei candidati perdenti – che ha scelto il nuovo Doge di Venezia.

Tale congrega è composta in primo luogo dagli eletti nelle assemblee rappresentative, siano esse nazionali, regionali o comunali; dai dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, tanto territoriali quanto non territoriali; da quei contraenti privati e “consulenti” delle diverse amministrazioni pubbliche che fingono di essere imprenditori o liberi professionisti, ma in realtà ne vengono stipendiati.

A tutti costoro si aggiunge una nuova categoria, in rapida espansione, composta dagli amministratori e dai dipendenti delle cosiddette “partecipate”.

Costoro sono – almeno dal punto di vista giuridico – i più privilegiati, essendo entrati nel novero dei dipendenti pubblici (quali sono in sostanza) senza nemmeno essere passati per quella fictio iuris a cui ormai si riducono i concorsi.

Si devono inoltre aggiungere al novero dei “tutelati” i familiari a carico di tutti costoro, cioè almeno un coniuge e un figlio minore per ciascuno di loro.

Vi sono infine quelli che potremmo definire gli “aspiranti tutelati”, cioè la massa di quanti aspirano a entrare a far parte delle categorie già menzionate.
Una parte di costoro è destinata a rimanere delusa dalle promesse elettorali, vuoi perché appoggia il candidato perdente, vuoi perché quello vincente non mantiene la parola.

Ad Imperia, un posto di vigile urbano, di bidello, di netturbino o di becchino – categoria, quest’ultima, ulteriormente frazionata nelle qualifiche di “esumatore”, “sterratore” e “decoratore” – viene attribuito a chi porta le fatidiche “cinquanta preferenze”.
Ora si annuncia l’assunzione degli addetti al nuovo forno crematorio.

Ogni aspirante dipendente del Comune deve in primo luogo fare affidamento sulla propria parentela – più o meno prossima –, sulle amicizie e sui rapporti associativi per riunire tale seguito; quindi indicare al responsabile del partito di governo le sezioni elettorali in cui verrà espresso il suffragio; ed infine sperare che quanti hanno promesso di esprimerlo secondo le indicazioni ricevute mantengano l’impegno.

Una volta superata tale faticosa trafila, nel corso del mandato del sindaco e della giunta verrà la sospirata assunzione, che sarà immediata per i “vincitori” ed ulteriormente dilazionata per gli “idonei”: gli uni subito accolti nel Paradiso, gli altri destinati alle pene del Purgatorio, che può durare per tutto il tempo di validità della graduatoria, innalzato da uno a tre anni.

A volte, non basta neanche tutto questo.

Quanti vogliono “entrare in Comune”, ovvero devono sdebitarsi per esserci già entrati, sono convocati ai comizi e ai pranzi organizzati dal partito, come avveniva per gli iscritti in occasione del “sabato fascista” e delle adunanze “oceaniche”, che assumevano tali dimensioni grazie all’opera capillare dei “gerarchi”, addetti a trascinare le mandrie in piazza.

A questo punto entrava in azione la “compagnia dell’applauso”, composta in genere da pensionati della polizia, che trascinava le ovazioni.
Altri invece cominciavano a scandire “Duce, Duce!”.

Ignazio Silone annotò come, in realtà, questa parola, essendo reiterata, venisse deformata nella pronuncia, trasformandosi in “cedu, cedu!”.

Analogamente, il partito “Basotto” precetta i seguaci per i propri raduni.
Il pranzo natalizio, che un tempo veniva ospitato nel Palazzo dello Sport di Diano Marina, era il più temuto, in quanto non offerto, bensì pagato – obbligatoriamente, ça va sans dire – da ciascun iscritto.

Un incaricato annota le presenze e le assenze, che devono essere giustificate.
Una volta, una povera donna tentò di esonerarsi asserendo di avere l’automobile rotta.
Il gerarca competente ne mandò una a prelevarla a domicilio.

Tornando al caso del Veneto, è notorio come il mitico “Nord-Est” abbia superato perfino la Lombardia nel ruolo di “locomotiva dello sviluppo”, potendo contare su una miriade di piccoli e medi imprenditori.

Costoro, però, essendo tartassati dal fisco – al punto che molti di loro si sono suicidati – non fanno parte dei “tutelati”, ma anzi devono mantenere le loro prebende facendosi “succhiare il sangue”.
Questo spiega la disaffezione manifestata attraverso l’astensione.

Aggiungiamo che la minoranza costituita dai “tutelati” si restringe progressivamente, a causa della diminuzione del gettito fiscale.
Gli astenuti sono dunque sempre più numerosi e sempre più sfruttati, mentre i mantenuti risultano invece sempre più minoritari e sempre più privilegiati.

Se la protesta si è fino ad ora manifestata col trascurare un piccolo impegno che non costa nulla, la prossima tappa sarà costituita dal rifiuto di pagare i tributi.

La differenza tra gli Stati del “Primo Mondo” e quelli del “Terzo Mondo” consisteva un tempo nel fatto che in questi ultimi non veniva erogato alcun servizio pubblico, ma in compenso non si veniva vessati dagli esattori.
Gli europei occidentali, e gli italiani in modo particolare, vengono ora invece spremuti senza ricevere nulla in cambio, salvo il caso dei percettori di false pensioni di invalidità, altra categoria che confluisce nel novero dei “tutelati”.

Per quanto tempo può durare questo sistema?
Non aspettiamoci, naturalmente, che cada domani.

Occorre che i “tutelati” continuino a diminuire di numero e che gli esclusi – Primo Levi li avrebbe definiti “i sommersi e i salvati” – raggiungano viceversa la cosiddetta “massa critica”.

Quanto avvenuto ieri, soprattutto nel Veneto, segnala tuttavia che si è ormai raggiunto il “punto di non ritorno”.
Si è cioè prodotto il “fatto”, che non viene notato o di cui comunque non si coglie il vero significato, al quale segue inevitabilmente quello che si chiama “evento”, e che risulta viceversa evidente, ed anzi addirittura clamoroso.

La presa di coscienza, non essendo preparata da alcun soggetto precostituito, può dare luogo addirittura a una maggiore repressione, in quanto chi esercita il potere ne percepisce la pericolosità potenziale.

Nel 1905 il pope Gapon condusse una moltitudine di poveri di San Pietroburgo a richiedere pacificamente del pane – nel senso letterale di una distribuzione di tale alimento – davanti al Palazzo d’Inverno.
Nicola II ordinò all’esercito di sparare, benché si trattasse di gente inerme e innocua, che addirittura intonava inni religiosi in suo onore.

La sorte della monarchia fu segnata, in quanto venne meno la secolare sudditanza a colui che veniva chiamato “Padre” dal popolo e che tredici anni dopo venne ucciso.

Nel frattempo progredì l’organizzazione degli oppositori, i quali si orientarono sempre più verso azioni illegali e violente.

Se gli italiani non votano, è perché sono giunti alla conclusione che non serve a nulla.
Chi sono i bolscevichi della situazione?

Premesso che non soltanto costoro praticavano la violenza – Alessandro II era stato fatto saltare in aria con la sua carrozza fin dal 1881 dai “populisti” – bisogna tenere d’occhio i nostri “Propal”, i quali a Bologna hanno sperimentato il loro nuovo pezzo di artiglieria, benché di piccolo calibro.

Si tratta del cosiddetto “mortaio casalingo”, inventato dai nostri connazionali di adozione, che può essere fabbricato da ogni fabbro ferraio ed è tanto in grado di sparare a salve, producendo un “botto” tremendo, quanto di lanciare un proiettile micidiale.
La fabbricazione, evidentemente, si può apprendere su Internet.

Sabato, a Roma, ne vedremo un uso più ampio, essendo intenzione dei promotori della manifestazione “farci scappare il morto”.

Noi siamo in totale e profondo disaccordo tanto con l’obiettivo, consistente nella distruzione dello Stato di Israele, quanto con il metodo illegale e violento.

Ciò premesso – come facciamo ogni volta che affrontiamo questo argomento (è dunque inutile continuare a mandarci dei provocatori) – ci pare che la Schlein non abbia capito una semplice verità che anche un bambino delle elementari comprende, avendo studiato non già la storia delle dottrine politiche o la sociologia, bensì l’aritmetica.

Se la signora elvetico-germanico-statunitense avesse persuaso almeno una parte degli astenuti a votare, l’opposizione avrebbe conquistato il Veneto.
Non c’è riuscita perché, secondo costoro, “questo e quello per me pari sono”.

Occorre dunque organizzare un’opposizione al sistema, e non al governo, il che non significa affatto andare a rimorchio dei violenti, bensì mettere in discussione il proprio ruolo sociale.

Risulta però difficile aspettarselo da chi guadagna tanto da potersi permettere perfino la “consulente cromatica”, incaricata di scegliere i vestiti da acquistare, non certo alla Oviesse, bensì in via Condotti.

Il discorso vale anche per i colleghi de la Repubblica.
Non è vero che il voto sia un “avviso alla Meloni”.
Se non si capisce che l’avviso riguarda anche la Schlein, non si è capito assolutamente nulla.

Quando muore un redattore del giornale di via Cristoforo Colombo, appare il necrologio, firmato da tutti coloro che dovrebbero redigere questo quotidiano.
Scorrendolo, si trovano firme che non appaiono da tempo immemorabile, segno che la proprietà li paga per non fare un bel nulla.
Anch’essi sono dunque dei tutelati.
“Et – come si dice in francese – pour cause”.

“Si parva magnis componere licet”, le locandine de la Stampa e de Il Secolo XIX – per non parlare de La Riviera – sono altrettanti manifesti di una propaganda di regime tanto adulatoria da risultare ridicola.

Il “Bassotto” viene descritto addirittura come possessore di doti soprannaturali.

Al tempo del Fascio venne bandito un concorso tra gli studenti delle elementari: vinceva chi escogitava il miglior slogan in omaggio a Mussolini.
Uno scrisse: “Dio ci dà il pane, e lui ce lo lavora”.
Un altro addirittura: “Se alla sera mia madre non prega per te, mi sento orfano”.

Ad Imperia, il vincitore scriverebbe: “San Bassotto, fai che da grande io diventi vigile urbano”.

Forse in previsione di ciò, la polizia municipale sta distribuendo penne e matite agli scolari.

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Mario Castellano  16/12/2025 articolo del 26/11/2025
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